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l'incubo no deal

Adesso BoJo minaccia una Brexit "modello Australia"

Gli scambi tra Ue e Regno Unito valgono 700 miliardi. Senza un accordo di libero scambio ci sarebbero controlli sulle merci, dazi e quote del Wto

David Carretta

Il premier britannico si dice pronto al "no deal" e ripassa la palla a Bruxelles, che lunedì potrebbe adottare d'urgenza una serie di decisioni unilaterali (ma non è ancora il momento di drammatizzare)

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L'Unione Europea ha “abbandonato l'idea di un accordo di libero scambio” e il Regno Unito si preparerà per una relazione “stile Australia”. Il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha risposto così alla richiesta di ieri del Consiglio europeo di fare “i movimenti necessari” per arrivare a un accordo. La minaccia è lanciarsi in una “Hard Brexit” l'1 gennaio 2021: uscire dal mercato interno e dall'unione doganale senza un accordo di libero scambio, ma con una relazione commerciale con l'Ue come quella che ha oggi l'Australia. In altre parole, dazi e quote dell'Organizzazione mondiale del commercio, oltre a controlli sulle merci che transitano da un lato all'altro della Manica. Solo che, se l'Australia sta in un altro emisfero, il Regno Unito si trova a pochi chilometri dal vecchio continente e la sua economia è profondamente integrata con quella dell'Ue. Gli scambi complessivi tra Australia e Ue ammontano a 47 miliardi di euro, mentre quelli con il Regno Unito superano i 700 miliardi. Il 43 per cento di tutte le esportazioni britanniche vanno verso l'Ue, mentre il 51 per cento di tutte le importazioni del Regno Unito arrivano dall'Ue. Lo squilibrio è evidente. La quota britannica nelle importazioni dell'Ue è pari al 10 per cento, mentre le esportazioni si collocano al 14,9 per cento. Ma, se si tiene conto del commercio intra-Ue, le importazioni per i paesi europei scendono al 4 per cento e le esportazioni al 3 per cento. Il Regno Unito si preparerà dunque per un “no deal”. “Sono giunto alla conclusione che dobbiamo essere pronti per il 1 gennaio con soluzioni che sono più come quelle dell'Australia, basate sui principi semplici del libero commercio globale", ha detto Johnson: "E' tempo per le nostre imprese di essere pronti e per i nostri trasportatori di essere pronti, per i viaggiatori di essere pronti”.

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L'Unione Europea ha “abbandonato l'idea di un accordo di libero scambio” e il Regno Unito si preparerà per una relazione “stile Australia”. Il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha risposto così alla richiesta di ieri del Consiglio europeo di fare “i movimenti necessari” per arrivare a un accordo. La minaccia è lanciarsi in una “Hard Brexit” l'1 gennaio 2021: uscire dal mercato interno e dall'unione doganale senza un accordo di libero scambio, ma con una relazione commerciale con l'Ue come quella che ha oggi l'Australia. In altre parole, dazi e quote dell'Organizzazione mondiale del commercio, oltre a controlli sulle merci che transitano da un lato all'altro della Manica. Solo che, se l'Australia sta in un altro emisfero, il Regno Unito si trova a pochi chilometri dal vecchio continente e la sua economia è profondamente integrata con quella dell'Ue. Gli scambi complessivi tra Australia e Ue ammontano a 47 miliardi di euro, mentre quelli con il Regno Unito superano i 700 miliardi. Il 43 per cento di tutte le esportazioni britanniche vanno verso l'Ue, mentre il 51 per cento di tutte le importazioni del Regno Unito arrivano dall'Ue. Lo squilibrio è evidente. La quota britannica nelle importazioni dell'Ue è pari al 10 per cento, mentre le esportazioni si collocano al 14,9 per cento. Ma, se si tiene conto del commercio intra-Ue, le importazioni per i paesi europei scendono al 4 per cento e le esportazioni al 3 per cento. Il Regno Unito si preparerà dunque per un “no deal”. “Sono giunto alla conclusione che dobbiamo essere pronti per il 1 gennaio con soluzioni che sono più come quelle dell'Australia, basate sui principi semplici del libero commercio globale", ha detto Johnson: "E' tempo per le nostre imprese di essere pronti e per i nostri trasportatori di essere pronti, per i viaggiatori di essere pronti”.

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Come accade sempre con la Brexit, in realtà non è ancora il momento di drammatizzare. Almeno non troppo. I fan più attenti della telenovela hanno subito notato che Johnson non ha chiuso la porta a altri negoziati. “Se c'è un cambiamento fondamentale di approccio, siamo ovviamente sempre pronti a ascoltare”, ha detto Johnson in un video per le televisioni. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha subito reagito via Twitter. “Come programmato, la nostra squadra negoziale sarà Londra la prossima settimana per intensificare questi negoziati”. Giovedì sera, dopo la discussione con i capi di stato e di governo, il capo-negoziatore Michel Barnier ha spiegato che “le differenze sono troppo grandi per poter dire che andiamo verso un accordo”, ma ha annunciato un orizzonte temporale di trattative di tre settimane. Dopo Londra, ci sarà una settimana di negoziati a Bruxelles. “Vogliamo accelerare da lunedì e per le due-tre settimane che restano davanti a noi”, ha detto Barnier. Anche da Angela Merkel sono arrivate delle aperture. “Abbiamo chiesto al Regno Unito di mantenere una volontà di compromesso. Ovviamente questo implica che anche noi dobbiamo fare dei compromessi”, ha detto la cancelliera tedesca: “Ognuno ha le sue linee rosse. Per noi è importante che l'Irlanda possa continuare a vivere in pace e proteggere il mercato unico. Ma sappiamo anche che il Regno Unito vuole disporre di una certa indipendenza”. La posizione è insomma conciliante, ma ferma: "Noi vogliamo un accordo – ha spiegato Merkel – ma non a tutti i costi". Anche perché, come ha sottolineato Emmanuel Macron, “non bisogna dimenticare che il Regno Unito ha più bisogno di noi di un accordo”. 

 

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La minaccia di BoJo appare dunque seria, ma non grave: un nuovo bluff alla decisione del Consiglio europeo di andare a vedere il bluff del premier britannico. La squadra Barnier si è già messa al lavoro per trovare delle soluzioni che permettano al premier britannico di salvare la faccia, in particolare sulla questione dell'allineamento all'Ue su regole sulla concorrenza e standard sociali e ambientali. Anziché un impegno fermo a seguire gli europei, è possibile prevedere dei meccanismi vincolanti nell'ambito della governance dell'accordo. Sulla pesca, l'inflessibilità della Francia potrebbe essere superata grazie a un periodo di uscita graduale dal sistema attuale, dando un incentivo ai britannici nel settore dell'energia. Come un anno fa, durante i negoziati sull'accordo di recesso, quel che serve a Johnson è la possibilità di tornare a Londra con l'aria del vincitore. Resta che l'Ue non si fida fino in fondo. La provocazione della violazione dell'accordo Brexit con legge sul mercato interno britannico ha danneggiato seriamente la fiducia. Lunedì la Commissione potrebbe adottare d'urgenza i piani per prepararsi al “no deal” e alla “hard Brexit”, in particolare con una serie di decisioni unilaterali per preservare i settori essenziali come i trasporti. Sarebbe anche un modo per rilanciare nuovamente la palla a Londra.

 

 

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