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Fidarsi o no?

Discoteche, ristoranti, feste. Davvero la Cina è ormai Covid-free?

A giudicare dai numeri, dopo dieci mesi, il Dragone è riuscito a contenere con successo un po’ ovunque il nuovo coronavirus

Giulia Pompili

A premiare sono stati una serie di fattori, tra cui tempestività del lockdown, la tecnologia applicata al contact tracing. Ma è anche l'autoritarismo del governo ad averlo permesso. Il nuovo focolaio nella città portuale di Qingdao

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Da qualche giorno sui social e sui media internazionali circola questa domanda: ma che sta succedendo in Cina? Il paese dove tutto è iniziato ha ricominciato a vivere, ma a vivere davvero, apparentemente senza paura del ritorno dell’epidemia e di nuove ondate di Covid-19: discoteche e ristoranti sono pieni di gente, il business è praticamente ripartito, e tutto senza alcun distanziamento sociale. Mentre in America, dall’altra parte del mondo, non si vede la fine di un’epidemia che sta mandando al collasso l’economia – per non parlare del sistema sanitario – a giudicare dai numeri, dopo dieci mesi, la Cina è riuscita a contenere con successo un po’ ovunque il nuovo coronavirus. Ieri il ministero della Salute di Pechino dava conto di ventuno nuove infezioni e trentadue infezioni asintomatiche (la Cina ha iniziato a separare i malati dagli infetti asintomatici). Su tutto il territorio nazionale le nuove infezioni sono state d’importazione, e non è stato registrato nessun morto. Come prevedibile, c’è chi non si fida dei dati cinesi, eppure la realtà dei fatti è poco equivocabile: non ci sono le lunghe file negli ospedali, la gente ha ricominciato a muoversi, a viaggiare, e come diceva ieri al Financial Times Remigio Brunelli, manager per la Cina dell’italiana Tecnica, in Europa c’è incertezza, mentre in Asia, in particolare in Cina, c’è fiducia”. Se i sistemi di controllo dell’epidemia di paesi come Taiwan, Corea del sud e Giappone li abbiamo osservati da vicino e studiati – sono anche quelli più vicini a noi, per ovvie ragioni di sistemi affini –  sul metodo cinese c’è incertezza, e tutto è avvolto in un alone di mistero, perché ogni volta dai fatti bisogna eliminare la propaganda (le cure miracolose della medicina tradizionale cinese, per fare un esempio) e soprattutto la politica. Eppure per la maggioranza delle persone intervistate in 14 paesi occidentali la Cina ha gestito il coronavirus meglio dell’America.

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Da qualche giorno sui social e sui media internazionali circola questa domanda: ma che sta succedendo in Cina? Il paese dove tutto è iniziato ha ricominciato a vivere, ma a vivere davvero, apparentemente senza paura del ritorno dell’epidemia e di nuove ondate di Covid-19: discoteche e ristoranti sono pieni di gente, il business è praticamente ripartito, e tutto senza alcun distanziamento sociale. Mentre in America, dall’altra parte del mondo, non si vede la fine di un’epidemia che sta mandando al collasso l’economia – per non parlare del sistema sanitario – a giudicare dai numeri, dopo dieci mesi, la Cina è riuscita a contenere con successo un po’ ovunque il nuovo coronavirus. Ieri il ministero della Salute di Pechino dava conto di ventuno nuove infezioni e trentadue infezioni asintomatiche (la Cina ha iniziato a separare i malati dagli infetti asintomatici). Su tutto il territorio nazionale le nuove infezioni sono state d’importazione, e non è stato registrato nessun morto. Come prevedibile, c’è chi non si fida dei dati cinesi, eppure la realtà dei fatti è poco equivocabile: non ci sono le lunghe file negli ospedali, la gente ha ricominciato a muoversi, a viaggiare, e come diceva ieri al Financial Times Remigio Brunelli, manager per la Cina dell’italiana Tecnica, in Europa c’è incertezza, mentre in Asia, in particolare in Cina, c’è fiducia”. Se i sistemi di controllo dell’epidemia di paesi come Taiwan, Corea del sud e Giappone li abbiamo osservati da vicino e studiati – sono anche quelli più vicini a noi, per ovvie ragioni di sistemi affini –  sul metodo cinese c’è incertezza, e tutto è avvolto in un alone di mistero, perché ogni volta dai fatti bisogna eliminare la propaganda (le cure miracolose della medicina tradizionale cinese, per fare un esempio) e soprattutto la politica. Eppure per la maggioranza delle persone intervistate in 14 paesi occidentali la Cina ha gestito il coronavirus meglio dell’America.


Secondo un articolo pubblicato su Lancet la settimana scorsa, una delle cose che ha premiato la Cina è stata la tempestività del lockdown. La città di Wuhan, dove tutto è partito, è stata paralizzata per 76 giorni, ma anche dopo, in tutto il territorio nazionale, gli spostamenti sono stati limitati per mesi. Il sistema centralizzato di risposta alle epidemie, di cui Pechino si è dotata dopo le epidemie del passato, dopo un primo momento di confusione ha reagito controllando i governi locali. Milioni di tamponi sono stati messi a disposizione delle autorità. E poi naturalmente la tecnologia, i big data, e il mastodontico sistema di contact tracing che non ha eguali nel mondo. Inoltre, essendo il più grande produttore al mondo, non è stato difficile per la Cina aumentare la produzione di dispositivi di protezione individuale e renderli obbligatori ovunque. Gregory Poland, direttore del Gruppo di ricerca dei vaccini della Mayo Clinic americana, ha detto a Lancet che “in Cina c’è la combinazione tra una popolazione che prende sul serio le infezioni respiratorie ed è disposta a seguire  misure drastiche anche non farmaceutiche, e un governo che può imporre limiti maggiori alle libertà individuali di quanto sarebbe considerato accettabile nella maggior parte dei paesi occidentali”. La popolazione in Cina  ha paura delle epidemie e di tutto quel che riguarda la Salute pubblica (lo abbiamo visto, anche in passato), e quindi è più cauta: non esisterebbero mai movimenti no-mask. Allo stesso tempo, però, uno dei motivi del successo del contenimento dell’epidemia in Cina è proprio l’autoritarismo del suo governo, che ha potuto liberamente imporre quarantene e lockdown senza paura di reazioni da parte della popolazione. Eppure, anche nell’autoritaria Cina che ha quasi-vinto la battaglia, l’allerta resta altissima: dopo un focolaio di dodici persone registrato nella città portuale di Qingdao, il governo ha iniziato domenica sera i tamponi per nove milioni di residenti, che dovrebbero essere completati entro la fine della settimana.

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