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Chiacchierata al Vin des Pyrénées con il cacciatore “amico di Macron”

Mauro Zanon

Consigli al presidente francese per non perdere il voto rurale

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Parigi. “Siamo in un periodo che assomiglia molto a quello dell’Inquisizione. I cacciatori, ma anche gli agricoltori, vengono minacciati di morte e aggrediti fisicamente perché considerati nemici dell’ideologia ecologista. La parola ‘interdiction’ è la preferita degli esponenti politici verdi che oggi imperversano nei salotti televisivi parigini. Vogliono vietare tutto: il Tour de France, perché inquina troppo, gli alberi di Natale, perché sono ‘morti’. E la cosa più assurda è che molti di loro si rivendicano figli del ’68. Si sono dimenticati che il principale slogan del Maggio francese era ‘interdit d’interdire’”. Willy Schraen, presidente della potente Fédération nationale des chasseurs (Fnc), mena sciabolate a destra e a manca contro “l’ecologia allarmista”, contro Yannick Jadot e Julien Bayou, i due leader di Europe écologie les verts (Eelv), che “non hanno altro da dire, se non reclamare il divieto della caccia”. “L’unico problema per molti autoproclamati ecologisti politici e per la maggior parte di coloro che si dicono difensori della natura è la caccia”, scrive Schraen nel suo libro-manifesto in difesa della ruralità, “Un chasseur un campagne” (Gerfaut), prima di aggiungere: “Sono convinti che la scomparsa della caccia e dei cacciatori salverà il mondo (…), che attaccare i cacciatori possa risolvere i problemi del clima, dell’inquinamento o dello sviluppo dei territori! (…). Ecco dove conduce il dogmatismo!”.

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Parigi. “Siamo in un periodo che assomiglia molto a quello dell’Inquisizione. I cacciatori, ma anche gli agricoltori, vengono minacciati di morte e aggrediti fisicamente perché considerati nemici dell’ideologia ecologista. La parola ‘interdiction’ è la preferita degli esponenti politici verdi che oggi imperversano nei salotti televisivi parigini. Vogliono vietare tutto: il Tour de France, perché inquina troppo, gli alberi di Natale, perché sono ‘morti’. E la cosa più assurda è che molti di loro si rivendicano figli del ’68. Si sono dimenticati che il principale slogan del Maggio francese era ‘interdit d’interdire’”. Willy Schraen, presidente della potente Fédération nationale des chasseurs (Fnc), mena sciabolate a destra e a manca contro “l’ecologia allarmista”, contro Yannick Jadot e Julien Bayou, i due leader di Europe écologie les verts (Eelv), che “non hanno altro da dire, se non reclamare il divieto della caccia”. “L’unico problema per molti autoproclamati ecologisti politici e per la maggior parte di coloro che si dicono difensori della natura è la caccia”, scrive Schraen nel suo libro-manifesto in difesa della ruralità, “Un chasseur un campagne” (Gerfaut), prima di aggiungere: “Sono convinti che la scomparsa della caccia e dei cacciatori salverà il mondo (…), che attaccare i cacciatori possa risolvere i problemi del clima, dell’inquinamento o dello sviluppo dei territori! (…). Ecco dove conduce il dogmatismo!”.

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Lo incontriamo al Vin des Pyrénées, bistrot ben frequentato del Marais parigino, che nell’Ottocento piaceva a Baudelaire, negli anni Sessanta a Jim Morrison, e oggi fa da sfondo ai discorsi dell’istrionico “pote de Macron”, come lo chiamano qui a Parigi. Il soprannome di amico di Macron se lo è conquistato nel dicembre 2017, quando con gli occhi dolci ha accolto l’inquilino dell’Eliseo al castello di Chambord e assieme hanno assistito alla cerimonia del tableau de chasse, l’esposizione dei trofei di caccia alla fine di una battuta, rituale monarchico per eccellenza. Macron salutò il contributo della caccia alla biodiversità tradizionale, parlando di “patrimonio nazionale” da preservare. E Schraen si ricordò di quelle parole al culmine della crisi dei gilet gialli, bloccando le migliaia di cacciatori che volevano scendere in piazza a protestare. “Se non li avessi stoppati subito, sarebbero stati in 500mila sulle rotatorie e ci sarebbero stati dei tipi armati. Ho parlato e scritto molto, i miei ragazzi erano tutti gilet gialli all’inizio, tutti. Ma avevano anche dei fucili”, ha detto il boss della Fnc all’autrice del libro “Noël à Chambord”, la giornalista Émilie Lanez.

 

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Schraen è contento dell’operato di Macron in favore della caccia e della ruralità. “Dai tempi di Pompidou, più nessun presidente si è mostrato vicino ai cacciatori. Tutti si vergognavano a parlare della caccia, Chirac compreso, altro che presidente delle campagne”, dice al Foglio. “A differenza dei suoi predecessori, Macron ci ha accolto regolarmente all’Eliseo, ci ha ascoltato e ha agito in maniera concreta, dimezzando il costo della licenza annuale da 400 a 200 euro”, spiega il patron dei cacciatori francesi. Dopo il rimpasto di luglio, tuttavia, c’è stata una piccola rottura. “Con l’arrivo della nuova ministra della Transizione ecologica, Barbara Pompili, sono sorti diversi problemi. Mette costantemente i bastoni fra le ruote alla caccia. Non mi sorprende, perché viene dall’ecologia politica. Macron deve stare attento a non perdere il contatto con i territori rurali a causa dell’operato della sua ministra. Farebbe bene a calmarla, o ancora meglio a cambiarla”, dichiara al Foglio Schraen. Il suo libro, sottolinea, è “un grido d’allarme”. “Se continuiamo così, per colpa dell’ecologia punitiva e delle altre ideologie radicali, sarà sempre più difficile dibattere su certi temi in questo paese. Tutti hanno una sensibilità verde. L’ecologia appartiene a tutti, non ai partiti. Quando viene lasciata a un solo partito succede quello che vediamo oggi: lo sviluppo di una forma di estremismo, un monopolio della questione verde. Non solo non è normale, ma è anche pericoloso”, afferma Schraen. L’altro problema evidenziato dal presidente della Fnc è che spesso le leggi per i territori rurali sono scritte da persone votate da elettori urbani. “C’è un evidente rottura tra mondo urbano e mondo rurale. E se la Francia della ruralità continuerà a non essere ascoltata, indicherà una persona capace di rappresentare le sue istanze alle presidenziali del 2022”. Lei per esempio? “Perché no”.

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