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AfD a pezzi

Micol Flammini

Nel partito tedesco (con Salvini nel Parlamento europeo) c’è chi vuole “gasare i migranti” e chi vuole essere conservatore

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La storia dell’AfD, fatta di tensioni, smembramenti, crisi identitarie, risse – tra i suoi membri volano anche i pugni – ha aggiunto lunedì un nuovo episodio che ben racconta e descrive l’anima del partito tedesco di estrema destra. L’ex portavoce Christian Lüth è stato espulso dopo aver detto a un militante che i migranti non costituiscono un grosso problema per l’AfD perché “potremmo sparargli o gasarli”. Potrebbero piuttosto essere un problema per la Germania, ha detto l’allora portavoce, ma “peggio va per la Germania, meglio va per l’AfD”. Lüth non sapeva che qualcuno lo stesse registrando mentre parlava – era febbraio, l’audio è stato poi utilizzato per realizzare un documentario – e quindi parlava apertamente. Qualche mese dopo, in aprile, Lüth si era dovuto dimettere dal suo ruolo di portavoce del partito per essersi definito “fascista”. Dopo le rivelazioni del quotidiano Zeit su Lüth, Konrad Adam, giornalista e uno dei primi esponenti dell’AfD, ha deciso che dal primo gennaio non sarà più membro del partito e in un’intervista alla Faz ha detto che ormai “non vede più un futuro per l’AfD come una forza conservatrice”. I problemi interni al partito fondato nel 2013 da Bernd Lucke e Alexander Gauland risalgono a  quando, davanti a un elettorato in crescita dopo il voto del 2017 che ha portato l’AfD a diventare la prima forza d’opposizione in Germania, il partito ha iniziato a domandarsi in quale direzione dovesse andare. Se fosse il caso di spingersi un po’ verso il centro, magari cercando di attrarre gli elettori delusi della Cdu di Angela Merkel, oppure se spostarsi, se possibile, ancora più a destra.  

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La storia dell’AfD, fatta di tensioni, smembramenti, crisi identitarie, risse – tra i suoi membri volano anche i pugni – ha aggiunto lunedì un nuovo episodio che ben racconta e descrive l’anima del partito tedesco di estrema destra. L’ex portavoce Christian Lüth è stato espulso dopo aver detto a un militante che i migranti non costituiscono un grosso problema per l’AfD perché “potremmo sparargli o gasarli”. Potrebbero piuttosto essere un problema per la Germania, ha detto l’allora portavoce, ma “peggio va per la Germania, meglio va per l’AfD”. Lüth non sapeva che qualcuno lo stesse registrando mentre parlava – era febbraio, l’audio è stato poi utilizzato per realizzare un documentario – e quindi parlava apertamente. Qualche mese dopo, in aprile, Lüth si era dovuto dimettere dal suo ruolo di portavoce del partito per essersi definito “fascista”. Dopo le rivelazioni del quotidiano Zeit su Lüth, Konrad Adam, giornalista e uno dei primi esponenti dell’AfD, ha deciso che dal primo gennaio non sarà più membro del partito e in un’intervista alla Faz ha detto che ormai “non vede più un futuro per l’AfD come una forza conservatrice”. I problemi interni al partito fondato nel 2013 da Bernd Lucke e Alexander Gauland risalgono a  quando, davanti a un elettorato in crescita dopo il voto del 2017 che ha portato l’AfD a diventare la prima forza d’opposizione in Germania, il partito ha iniziato a domandarsi in quale direzione dovesse andare. Se fosse il caso di spingersi un po’ verso il centro, magari cercando di attrarre gli elettori delusi della Cdu di Angela Merkel, oppure se spostarsi, se possibile, ancora più a destra.  

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Alternative für Deutschland è nato come un partito euroscettico, un coacervo di teorie nazionaliste no euro e anti immigrazione, che rapidamente è riuscito a interessare sempre più i tedeschi, ottenendo la maggior parte dei successi elettorali nella parte orientale del paese. In Turingia era anche riuscito a rompere il cordone sanitario che si era creato tra la Cdu e il partito di sinistra Linke, e con i voti di alcuni esponenti del partito della Merkel, l’AfD aveva fatto eleggere come ministro presidente un liberale. Sembrava che tutto stesse saltando tra le fila della politica tedesca, che l’AfD iniziasse a gonfiarsi, a puntare i piedi, a dettare l’agenda. La Turingia un anno fa, prima che il cordone sanitario si ristabilisse,  era diventata uno specchio piccolissimo della politica tedesca e sembrava aver dato anche una risposta a quanti dentro all’AfD si domandavano se fosse il caso di normalizzarsi o estremizzarsi. A capo dell’AfD locale infatti c’è Björn Höcke, leader di quella fazione del partito chiamata l’Ala (Der Flügel), la più estremista, quella negazionista che l’intelligence tedesca ha classificato come organizzazione di estrema destra e messo sotto sorveglianza. Quest’estate il dibattito sulla vera natura dell’AfD si è fatto un po’ più acceso quando Jörg Meuthen, eurodeputato e nuovo portavoce nazionale del partito ha fatto prima sciogliere Der Flügel e ha poi allontanato Andreas Kalbitz, uno dei leader più estremisti, con l’accusa di aver nascosto i suoi legami con organizzazioni di estrema destra.

 

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Dopo la crisi sanitaria l’AfD ha perso consensi, si è rimpicciolita di fronte alla gestione della pandemia della cancelliera Merkel, che ieri ha riunito di nuovo i ministri presidenti dei Länder per stabilire le nuove restrizioni da adottare contro la pandemia, e Meuthen è convinto che l’unica via per riprendere i consensi sia quella verso la moderazione. Ma finora sono stati i successi dell’ala più estremista a mobilitare e nonostante i tentativi di epurare il partito da personaggi come Lüth, sembra che l’AfD sappia bene dove sia la sua anima: tra l’estrema destra, inutile credere a una sua normalizzazione. All’interno del Parlamento europeo l’AfD siede nel gruppo Identità e democrazia assieme, tra gli altri, alla Lega di Matteo Salvini, al Rassemblement national di Marine Le Pen e all’Fpö austriaco, un tempo compagno di governo di Sebastian Kurz. Erano questi i partiti che alle europee del 2019 minacciavano di divorare l’Europa. Un anno dopo sono tutti un po’ più piccoli, meno forti, con crisi identitarie da risolvere. 

 

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