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Tormento britannico

Il silenzio di Keir Starmer

Perché il Labour inglese tace sull’ultima “stupidità cretina” della Brexit? Due ragioni e un obiettivo

Paola Peduzzi

Sul Sunday Telegraph, il leader del Labour ha scritto: “La divisione leave-remain è superata. Il paese deve e vuole andare oltre questo dibattito tormentato”. E nella discussione parlamentare sulla revisione dell'accordo firmato dal premier Johnson con l'Ue, l'opposizione è quasi assente

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“La stupidità cretina di tutta questa storia!”, dice l’eroe tragico della “Marcia di Radetzky” di Joseph Roth mentre si presenta al duello in cui pensa che rimarrà ucciso per difendere l’onore di sua moglie. Il giornalista Tom McTague ha citato questa esclamazione all’inizio di un suo articolo: si fanno giri immensi e siamo sempre qui, fermi alla “stupidità cretina del dilemma” della Brexit. Il Parlamento britannico deve votare una legge che rivede l’accordo siglato dal governo Johnson con l’Unione europea nel novembre dello scorso anno, ed è in corso l’ennesima guerra dentro al Partito conservatore sulla legittimità di questo ribaltamento. La novità rispetto al passato – oltre al fatto che il premier inglese ha mostrato che un patto per lui non è un patto nemmeno se è firmato, di tutte le stupidità cretine la più pericolosa – è il ruolo del Labour, cioè del partito d’opposizione. Ieri ai Comuni c’è stato il tradizionale scontro del mercoledì tra Boris Johnson e l’opposizione: il leader del Labour, Keir Starmer, è in isolamento perché in attesa dell’esito del test sul Covid, e al suo posto è andata la sua vice, Angela Rayner, che ha denunciato l’incompetenza del governo sulla gestione della pandemia, ma non ha quasi toccato il tema Brexit. E da giorni i giornali inglesi chiedono: perché questo Labour guidato da un anti Brexit come Starmer, non sta facendo alcuna battaglia contro l’ultima stupidità cretina? Sul Sunday Telegraph, Starmer ha scritto: “La divisione leave-remain è superata. Il paese deve e vuole andare oltre questo dibattito tormentato”.

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“La stupidità cretina di tutta questa storia!”, dice l’eroe tragico della “Marcia di Radetzky” di Joseph Roth mentre si presenta al duello in cui pensa che rimarrà ucciso per difendere l’onore di sua moglie. Il giornalista Tom McTague ha citato questa esclamazione all’inizio di un suo articolo: si fanno giri immensi e siamo sempre qui, fermi alla “stupidità cretina del dilemma” della Brexit. Il Parlamento britannico deve votare una legge che rivede l’accordo siglato dal governo Johnson con l’Unione europea nel novembre dello scorso anno, ed è in corso l’ennesima guerra dentro al Partito conservatore sulla legittimità di questo ribaltamento. La novità rispetto al passato – oltre al fatto che il premier inglese ha mostrato che un patto per lui non è un patto nemmeno se è firmato, di tutte le stupidità cretine la più pericolosa – è il ruolo del Labour, cioè del partito d’opposizione. Ieri ai Comuni c’è stato il tradizionale scontro del mercoledì tra Boris Johnson e l’opposizione: il leader del Labour, Keir Starmer, è in isolamento perché in attesa dell’esito del test sul Covid, e al suo posto è andata la sua vice, Angela Rayner, che ha denunciato l’incompetenza del governo sulla gestione della pandemia, ma non ha quasi toccato il tema Brexit. E da giorni i giornali inglesi chiedono: perché questo Labour guidato da un anti Brexit come Starmer, non sta facendo alcuna battaglia contro l’ultima stupidità cretina? Sul Sunday Telegraph, Starmer ha scritto: “La divisione leave-remain è superata. Il paese deve e vuole andare oltre questo dibattito tormentato”.

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Martedì, parlando al congresso dei sindacati, Starmer ha detto che i conservatori stanno “riaprendo vecchie ferite della Brexit” e sbagliano. Sintesi del Financial Times: Starmer vuole “get Brexit done”, proprio come Johnson, perché?
C’è una ragione molto concreta: quest’ultima stupidità cretina non rimette in discussione la Brexit, ma l’accordo di divorzio. In altre parole: si vedrà se Johnson riuscirà a riportare gli europei a un negoziato (cosa che oggi loro escludono, ma la tattica del premier inglese è ottenere tutto per sfinimento) o se invece non ce la farà e sarà no deal. Il People’s Vote, il ripensamento nazionale, il secondo referendum, il passo indietro, scusate ci siamo sbagliati: non c’è più nulla di tutto questo, l’alternativa è Brexit negoziata o Brexit non negoziata. La divisione leave-remain è superata nei fatti, quella di  Starmer è una constatazione.
Il leader del Labour ha fatto anche un calcolo elettorale molto più cinico: se vado oltre la Brexit, posso provare a riconquistare l’ex “muro rosso” diventato, alle elezioni di dicembre blu-conservatore. In quel bacino, l’ambiguità del Labour sulla Brexit (l’ambiguità era del predecessore di Starmer, Jeremy Corbyn) ha contribuito molto alla disfatta del Labour. Ma se si leva il fattore Brexit, che cosa succede? Questa è la scommessa del nuovo Labour, che pure a molti appare cinica, ed è per questo che il silenzio di Starmer in questi giorni di nuovo tumulto brexitaro viene evidenziato da ogni parte.
Il leader del Labour sta scegliendo un’altra strada che è quella di dimostrare l’inadeguatezza di Johnson e dei Tory al governo: la gestione della pandemia è l’elemento portante, ma anche il caos sulla Brexit al limite della legalità (anzi, con tutta probabilità oltre) è rivenduto non tanto con toni nostalgici su quel che poteva essere e non è stato, ma come la dimostrazione che di una leadership così non ci si può fidare.

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Starmer dice che gli inglesi vogliono l’accordo sulla Brexit che era stato loro promesso, “sono il premier e il governo conservatore che hanno riportato l’orologio indietro e stanno riaccendendo dispute vecchie”. I Tory rispondono: ma guardateli, questi laburisti, che ora sono a favore della Brexit, finalmente ammettono che per il paese è meglio così. Ma per ora il rumore dello scontro è tutto nel campo dei conservatori, ed è difficile per loro sostenere il contrario, visto che continuano le liti e le dimissioni di chi non vuole rimangiarsi la parola data meno di un anno fa, e davanti a tutti.

Così Starmer può concentrarsi sull’obiettivo principale: la riconquista del “muro”, gli elettori del centro del Regno Unito. Per farlo non basta mettersi la Brexit alle spalle, bisogna studiare le cause della mutazione da rosso a blu del paese. Un punto di partenza è quello che dice Deborah Mattinson, cofondatrice di BritainThinks, nel suo libro “Red Wall”: alle elezioni si sceglie una leadership con idee chiare. Come quei due uomini che devono affrontare una tigre. Uno si ferma per allacciarsi la scarpa. L’altro gli dice: “Non correrai mai più forte della tigre”. E lui: “Non devo, mi basta correre più veloce di te”.

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