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La nuova dottrina Powell

Stefano Cingolani

A Jackson Hole il capo della Fed mette l’occupazione davanti all’inflazione. Svolta nella politica monetaria

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Roma. C’è già chi la chiama la nuova dottrina Powell e qualche somiglianza con quella dell’altro Powell, il generale Colin, ce l’ha. In entrambi i casi si tratta di mettere in campo tutte le forze disponibili, ben superiori a quelle del nemico, per vincere la guerra il più rapidamente possibile. Allora, nel 1991, bisognava sconfiggere Saddam Hussein e liberare il Kuwait. Oggi il compito annunciato da Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, al meeting annuale dei banchieri centrali a Jackson Hole nel Wyoming, è persino più difficile: battere la peggiore recessione dalla fine del secondo conflitto mondiale, con un prodotto lordo che nel secondo trimestre è crollato del 31,7 per cento (record negativo dal 1947). La nuova dottrina, approvata all’unanimità dal consiglio della Federal Reserve, si applica alla politica monetaria e mette in primo piano l’aumento dell’occupazione rispetto alla stabilità dei prezzi che resta uno dei due obiettivi della Banca centrale americana, anche se il target del 2 per cento non sarà più un tetto, ma una media.

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Roma. C’è già chi la chiama la nuova dottrina Powell e qualche somiglianza con quella dell’altro Powell, il generale Colin, ce l’ha. In entrambi i casi si tratta di mettere in campo tutte le forze disponibili, ben superiori a quelle del nemico, per vincere la guerra il più rapidamente possibile. Allora, nel 1991, bisognava sconfiggere Saddam Hussein e liberare il Kuwait. Oggi il compito annunciato da Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, al meeting annuale dei banchieri centrali a Jackson Hole nel Wyoming, è persino più difficile: battere la peggiore recessione dalla fine del secondo conflitto mondiale, con un prodotto lordo che nel secondo trimestre è crollato del 31,7 per cento (record negativo dal 1947). La nuova dottrina, approvata all’unanimità dal consiglio della Federal Reserve, si applica alla politica monetaria e mette in primo piano l’aumento dell’occupazione rispetto alla stabilità dei prezzi che resta uno dei due obiettivi della Banca centrale americana, anche se il target del 2 per cento non sarà più un tetto, ma una media.

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Le conseguenze pratiche sono chiare: siccome l’inflazione è rimasta a lungo sotto il 2 per cento, adesso può salire sopra i due punti percentuali senza che la Fed aumenti i tassi i quali, di conseguenza, rimarranno a lungo piatti. L’impatto teorico è altrettanto significativo: la “curva di Phillips”, secondo la quale esiste una relazione inversa tra disoccupazione e inflazione, non funziona più, quindi non può regolare la politica monetaria né quella fiscale. Powell ha spiegato che il cambiamento riflette “le lezioni” che la Banca centrale ha tratto negli ultimi anni riguardo all’andamento dei prezzi che non sono in media aumentati nemmeno quando la disoccupazione è scesa sotto i minimi storici, come prima che scoppiasse la pandemia. “Un mercato del lavoro robusto può essere sostenuto senza causare uno scoppio dell’inflazione”, ha detto il presidente della Fed segnalando un mutamento strutturale rispetto ai cicli del passato.

 

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Anche la ricaduta politica sembra a questo punto evidente: Donald Trump che ha a lungo strapazzato Powell perché non stampava abbastanza moneta, riceverà un aiuto dalla svolta della Banca centrale. Nessuno può dire se gli basterà per essere rieletto, anche perché nessuno può prevedere la reazione degli “animal spirits” e l’impatto sulle aspettative delle imprese, delle famiglie e dei mercati finanziari. Ieri Wall Street ha salutato l’annuncio con un aumento anche se inferiore all’1 per cento. Gli operatori immaginano che il prossimo mese la Fed riduca i tassi, ma restano cauti e ieri hanno guardato anche al bicchiere mezzo vuoto perché la richiesta di sussidi di disoccupazione è alta anche ad agosto.

 

Per la massima occupazione non viene indicato un obiettivo numerico preciso: “Non è direttamente misurabile e cambia nel tempo per ragioni non legate alla politica monetaria”, ha spiegato Powell. Anche in questo caso c’è un’importante innovazione. Nella precedente formulazione, la Fed avrebbe dovuto tener conto delle “deviazioni” in alto e in basso; in futuro dovrà invece contrastare gli “shortfalls”, solo le situazioni in cui l’occupazione effettiva sia inferiore al livello massimo. In passato l’avvicinarsi della disoccupazione a quello che era considerato “il livello naturale” spingeva la Fed a rincarare il costo del denaro (Alan Greenspan era maestro in questa tecnica), d’ora in poi non sarà più così. La novità “riflette esplicitamente le sfide poste alla politica monetaria da una situazione di tassi di interesse persistentemente bassi”.

 

Negli Stati Uniti e nel resto del mondo, ha aggiunto, c’è ora il vincolo dei “tassi zero” molto più che nel passato. Nella zona euro, la Banca centrale europea ha varcato questa soglia, e si è avviata in quella che Mario Draghi aveva chiamato “terra incognita”. Pur con un mandato formale ancora diverso (la stabilità dei prezzi è l’unico obiettivo esplicito nello statuto della Bce), le due banche centrali stanno cercando di rendere più a buon mercato il ricorso al credito e di cambiare le aspettative dei mercati che continuano a essere pessimistiche, nonostante il rimbalzo della produzione industriale in molti paesi, tra i quali anche l’Italia, e il ritorno della spesa delle famiglie ai livelli pre crisi.

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La lezione metodologica della nuova dottrina è “flessibilità”, secondo le parole di Powell il quale ha precisato: “Non ci legheremo a una particolare formula matematica che definisca l’inflazione media”. Il messaggio è: lavorate e spendete, nessuno vi fermerà.

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