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La “vuelta al cole”

In Spagna i casi aumentano e le scuole non sono più sicure di riaprire a settembre

Eugenio Cau

Il governo pensa a una strategia ma sono le comunità autonome a decidere come organizzare la riapertura e le misure da adottare. E ora si affrettano a inasprire le norme di sicurezza

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Milano. La “vuelta al cole”, cioè il ritorno a scuola dopo la pausa estiva (“cole” sta per “colegio”), ha cominciato a preoccupare gli spagnoli con qualche settimana di ritardo rispetto all’Italia. Forse perché nessuno a Madrid ha deciso di punto in bianco di sostituire centinaia di migliaia di banchi scolastici con altri a rotelle, forse perché con i contagi che aumentavano vertiginosamente gli spagnoli avevano altro a cui pensare, ma insomma: i media iberici si sono riempiti di preoccupazioni per la vuelta al cole soltanto da pochi giorni, quando ormai mancano un paio di settimane al rientro dei ragazzi, e le preoccupazioni sono legittime. Da settimane in Spagna il numero giornaliero dei nuovi contagi è a tre cifre. Fernando Simón, l’epidemiologo del governo che è diventato il portavoce della strategia di contenimento del coronavirus, ha detto giovedì che ci sono molte aree del paese in cui l’epidemia è ormai “fuori controllo”, e ieri il governo locale dei Paesi Baschi annunciava che c’erano stati 724 contagi in 24 ore soltanto nella regione, e che non erano mai stati così tanti in un giorno nemmeno durante il picco dell’epidemia, in primavera.

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Milano. La “vuelta al cole”, cioè il ritorno a scuola dopo la pausa estiva (“cole” sta per “colegio”), ha cominciato a preoccupare gli spagnoli con qualche settimana di ritardo rispetto all’Italia. Forse perché nessuno a Madrid ha deciso di punto in bianco di sostituire centinaia di migliaia di banchi scolastici con altri a rotelle, forse perché con i contagi che aumentavano vertiginosamente gli spagnoli avevano altro a cui pensare, ma insomma: i media iberici si sono riempiti di preoccupazioni per la vuelta al cole soltanto da pochi giorni, quando ormai mancano un paio di settimane al rientro dei ragazzi, e le preoccupazioni sono legittime. Da settimane in Spagna il numero giornaliero dei nuovi contagi è a tre cifre. Fernando Simón, l’epidemiologo del governo che è diventato il portavoce della strategia di contenimento del coronavirus, ha detto giovedì che ci sono molte aree del paese in cui l’epidemia è ormai “fuori controllo”, e ieri il governo locale dei Paesi Baschi annunciava che c’erano stati 724 contagi in 24 ore soltanto nella regione, e che non erano mai stati così tanti in un giorno nemmeno durante il picco dell’epidemia, in primavera.

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Così il rientro a scuola spagnolo è pieno di incertezze. Il governo ha indetto il 27 agosto una riunione di tutti i rappresentanti locali che si occupano di istruzione per coordinare una strategia, ma in Spagna sono le comunità autonome (cioè le regioni) a decidere come organizzare la riapertura e le misure da adottare, e dunque quella del governo è più che altro una lista di consigli. Un piano generale era stato già presentato a giugno, e prevedeva alcune misure di sicurezza per consentire il ritorno degli alunni in classe. Tra queste il mantenimento di una distanza minima di un metro e mezzo e classi con massimo 20 alunni. Le comunità autonome, allora, avevano criticato il piano come troppo severo, e avevano costretto il governo a rivedere il numero di alunni per classe da 20 a 25. Oggi però le cose sono cambiate: i governi locali si sono presi paura e si affrettano a inasprire le norme di sicurezza. In alcune comunità autonome, come in Galizia, gli studenti dalle elementari in su saranno costretti a tenere la mascherina indossata per tutto il tempo delle lezioni. Lo stesso potrebbe succedere in Catalogna. A Madrid, il ministro regionale per l’Istruzione, Enrique Ossorio, questa settimana ha ammesso per la prima volta che anche se l’obiettivo del governo locale era di garantire il ritorno a scuola per tutti, quasi di sicuro non sarà possibile farlo, e dunque sarà necessario utilizzare un approccio misto, almeno per gli alunni più grandi. Ossorio è stato contraddetto dal vicepresidente regionale, ma ormai sembra che tutte le comunità autonome si stiano orientando verso un modello simile: in classe tutti i bimbi della scuola infantile e primaria (fino agli 11 anni), mentre i ragazzi più grandi, dai 12 anni in su, un po’ staranno a scuola e un po’ lavoreranno da casa.

  

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Per ora, l’unica comunità autonoma che ha presentato il suo piano definitivo è quella di Valencia, tutti gli altri governi locali ne pubblicheranno uno la prossima settimana, e i genitori sono molto arrabbiati: a pochi giorni dal rientro in classe, la stragrande maggioranza degli spagnoli ancora non sa se ci sarà, il rientro. Sono arrabbiati anche gli insegnanti. Molte comunità autonome hanno previsto piani per l’assunzione di nuovi docenti, ma i sindacati degli insegnanti dicono che non sono abbastanza, che le decisioni di ciascuna comunità sono troppo disparate e confuse, e che il rischio è di riaprire le scuole per qualche settimana per poi doverle richiudere subito dopo.

   

Durante la sua conferenza stampa abituale, giovedì l’epidemiologo del governo Fernando Simón ha detto che “la situazione non è affatto buona”. Ha aggiunto tuttavia che i fattori da valutare per decidere se riaprire o meno le scuole non sono soltanto sanitari, ma anche sociali, come ha notato il giornale El Confidenciál. “E’ facile proporre l’insegnamento online per i ragazzi che hanno i mezzi giusti per farlo”, ha detto Simón. “Se un bambino ha la propria camera, un buon computer e un buon wifi non è lo stesso di un bambino che condivide la stanza con fratelli o perfino con i fratelli e i genitori, e che non ha computer o wifi... Tutti i nostri ragazzi hanno diritto a una buona istruzione”.

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