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In Cina il Partito comunista vuole rovinare la fantascienza

Eugenio Cau

L’arma culturale più potente del paese irrigidita dalle linee guida del governo cinese. Solite ragioni ideologiche

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Una delle cose che manca alla Cina per diventare una vera superpotenza, oltre a vincere una guerra mondiale, è l’egemonia culturale. Di quella americana sappiamo, ma perfino il più piccolo Giappone, 30-40 anni fa quando sembrava che la sua economia avrebbe superato quella degli Stati Uniti, aveva già invaso l’occidente con i suoi manga, il suo Murakami e il suo sushi. La Cina, per ora, ha soltanto un vero prodotto culturale d’esportazione: la fantascienza. L’unico kolossal internazionale di produzione cinese, “The Wandering Earth”, è un film di fantascienza. Autori cinesi collezionano tutti gli anni i premi Hugo, che sono i Pulitzer del genere, e il più importante tra loro, Liu Cixin, è una star della letteratura internazionale, la sua saga “Il problema dei tre corpi” è tradotta in tutto il mondo (in Italia da Mondadori) e ha tra i suoi fan Barack Obama e Mark Zuckerberg. “La fantascienza cinese ha conquistato l’America”, ha titolato qualche tempo fa il New York Times; “La fantascienza potrebbe diventare l’arma segreta nell’arsenale del soft power cinese”, ha scritto il Financial Times, e potremmo continuare.

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Una delle cose che manca alla Cina per diventare una vera superpotenza, oltre a vincere una guerra mondiale, è l’egemonia culturale. Di quella americana sappiamo, ma perfino il più piccolo Giappone, 30-40 anni fa quando sembrava che la sua economia avrebbe superato quella degli Stati Uniti, aveva già invaso l’occidente con i suoi manga, il suo Murakami e il suo sushi. La Cina, per ora, ha soltanto un vero prodotto culturale d’esportazione: la fantascienza. L’unico kolossal internazionale di produzione cinese, “The Wandering Earth”, è un film di fantascienza. Autori cinesi collezionano tutti gli anni i premi Hugo, che sono i Pulitzer del genere, e il più importante tra loro, Liu Cixin, è una star della letteratura internazionale, la sua saga “Il problema dei tre corpi” è tradotta in tutto il mondo (in Italia da Mondadori) e ha tra i suoi fan Barack Obama e Mark Zuckerberg. “La fantascienza cinese ha conquistato l’America”, ha titolato qualche tempo fa il New York Times; “La fantascienza potrebbe diventare l’arma segreta nell’arsenale del soft power cinese”, ha scritto il Financial Times, e potremmo continuare.

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Anche il Partito comunista cinese, infine, si è accorto del successo del genere fantascientifico, e benché forse non sia il più apprezzato dalla leadership (il presidente Xi Jinping ama i film d’azione e di guerra, mentre a suo tempo si diceva che il suo superconsigliere Wang Qishan fosse appassionato della serie “House of Cards”), ha capito che dal successo della fantascienza il paese può trarre vantaggio, e ottenere quei successi in campo culturale che per ora non riescono a stare al passo dell’economia e della geopolitica. Ma il Partito comunista è pur sempre il Partito comunista, e se la pianificazione economica gli riesce bene, non si può dire altrettanto della creazione di una grande impresa culturale. Così, anziché dare carta bianca ai propri migliori talenti, questo mese l’Associazione nazionale cinematografica e l’Associazione per la scienza e la tecnologia hanno pubblicato un documento con le linee guida per la “promozione e lo sviluppo dei film di fantascienza”, scritto in eccellente burocratese, in cui si delineano tutte le misure per creare una forte industria degli effetti speciali, si consiglia di introdurre premi, festival e concorsi per registi e sceneggiatori, si raccomanda la formazione di nuovi veicoli di finanziamento per le grandi produzioni. Una specie di piano quinquennale per la fantascienza, che non sarebbe male se non fosse che quando l’occhio del Partito comunista ricade su un settore, assieme agli incentivi arriva anche l’ortodossia ideologica. Così le linee guida per la fantascienza dicono che il processo creativo deve seguire “la direzione giusta”: “studiare e implementare il pensiero di Xi Jinping per un socialismo con caratteristiche cinesi”, promuovere i “valori” e l’“estetica” cinesi, e già che ci siamo pure “elevare lo spirito degli scienziati” – e qui già immaginiamo la fila ai botteghini per vedere il prossimo kolossal in cui gli astronauti cinesi sconfiggono gli alieni implementando il pensiero di Xi Jinping. Un anno fa l’Economist scriveva che la fantascienza ancora permetteva ai suoi autori di esprimere “forme sottili di dissenso”, ma se il genere deve diventare un prodotto d’esportazione questo non è più concesso.

    

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L’ortodossia ideologica non fa bene alla cultura, e a volte è perfino ridicola, come quando qualche anno fa i giornali americani scrissero che il governo cinese aveva bandito dal cinema e dalla tv tutte le rappresentazioni di viaggi nel tempo. Non sia mai che qualcuno osi immaginare un futuro senza il Partito comunista.

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