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Sul confine nord di Israele

Redazione

Scontri con Hezbollah. Il pericolo di una guerra durante la pandemia

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L’esercito israeliano ha risposto ieri a un’incursione da parte delle forze di Hezbollah al confine nord del paese, nella zona di Mount Dov, sulle alture del Golan. Secondo Israele, Hezbollah aveva superato la “linea blu” del confine e stava per attaccare una base dell’Idf israeliano ma è stato respinto: “Un incidente serio per la nostra sicurezza”, ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu. Hezbollah nega, dice che non stava facendo alcuna incursione, e che “il nemico è in ansia e nervoso”. Da giorni quest’area è in allarme perché il Partito di Dio ha annunciato una rappresaglia contro l’uccisione di un suo miliziano in un attacco aereo di Israele in Siria, vicino all’aeroporto di Damasco. Nel raid è stato ucciso Ali Kamel Mohsen, un miliziano di Hezbollah: durante i funerali, la settimana scorsa, la folla gridava di volersi vendicare e i social media si sono riempiti delle foto dei due figli di Ali Mohsen – la vendetta è stata annunciata in loro nome e difesa. Israele ha detto che non sapeva che Ali Mohsen fosse nella zona del raid e che non era tra gli obiettivi. Il comunicato – che sui media legati a Hezbollah è passata come “una lettera di scuse” – voleva scongiurare ogni escalation, ma non è stato preso in considerazione dalle forze di Hezbollah che operano vicino alle alture, anche se il numero due del Partito di Dio, Sheikh Naim Qassem, aveva detto domenica di non voler andare verso uno scontro più intenso con le forze israeliane.

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L’esercito israeliano ha risposto ieri a un’incursione da parte delle forze di Hezbollah al confine nord del paese, nella zona di Mount Dov, sulle alture del Golan. Secondo Israele, Hezbollah aveva superato la “linea blu” del confine e stava per attaccare una base dell’Idf israeliano ma è stato respinto: “Un incidente serio per la nostra sicurezza”, ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu. Hezbollah nega, dice che non stava facendo alcuna incursione, e che “il nemico è in ansia e nervoso”. Da giorni quest’area è in allarme perché il Partito di Dio ha annunciato una rappresaglia contro l’uccisione di un suo miliziano in un attacco aereo di Israele in Siria, vicino all’aeroporto di Damasco. Nel raid è stato ucciso Ali Kamel Mohsen, un miliziano di Hezbollah: durante i funerali, la settimana scorsa, la folla gridava di volersi vendicare e i social media si sono riempiti delle foto dei due figli di Ali Mohsen – la vendetta è stata annunciata in loro nome e difesa. Israele ha detto che non sapeva che Ali Mohsen fosse nella zona del raid e che non era tra gli obiettivi. Il comunicato – che sui media legati a Hezbollah è passata come “una lettera di scuse” – voleva scongiurare ogni escalation, ma non è stato preso in considerazione dalle forze di Hezbollah che operano vicino alle alture, anche se il numero due del Partito di Dio, Sheikh Naim Qassem, aveva detto domenica di non voler andare verso uno scontro più intenso con le forze israeliane.

 

Hezbollah è sotto pressione internamente: il Libano è in mezzo a una crisi economica molto profonda (manca tutto, in particolare l’energia elettrica) e anche il Partito di Dio ne è considerato responsabile. Ma nessun paese coinvolto, compreso l’Iran che è lo sponsor di Hezbollah, vuole un’escalation in una fase delicata come questa della pandemia – che ha ripreso vigore. E’ proprio quando si vuole evitare uno scontro più aspro che ogni incidente può essere drammaticamente decisivo.

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