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Guardatela, la protesta in Russia dove la polizia distribuisce mascherine

Micol Flammini

Da tre settimane a Khabarovsk migliaia di persone manifestano contro l'arresto del governatore. Il Cremlino ha deciso di attendere, ma i cortei dimostrano che il paese non è poi così apatico 

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Roma. Le proteste a Khabarovsk, nella Russia orientale, vicino al confine cinese e a poche fermate dal capolinea della ferrovia transiberiana, vanno avanti da tre settimane. E ogni sabato sembrano farsi più grandi, tanto che, durante lo scorso fine settimana, i manifestanti erano tra i cinquantamila e i centomila (gli abitanti della città sono seicentomila), secondo gli organizzatori. Per le autorità locali erano soltanto seimila, ma i giornalisti che hanno seguito da vicino le proteste hanno detto che la folla era la più grande di sempre. Un fiume di malcontento che tiene dentro, ogni fine settimana, diverse classi sociali, avvocati e operai, diverse fasce di età, ragazzi e pensionati, che sono molto arrabbiati con il Cremlino perché ha arrestato il governatore della regione che prende il nome della città. Sergei Furgal si era candidato lo scorso anno per le elezioni locali e, inaspettatamente le aveva vinte. Non era il candidato del presidente Vladimir Putin nella regione, era il rappresentante del Partito liberaldemocratico e non soltanto non si aspettava di vincere, ma non aveva neppure l’intenzione di diventare un contestatore del Cremlino. Nei primi giorni di luglio Furgal è stato arrestato, mentre era a bordo della sua auto è stato fermato e ammanettato con l’accusa di omicidio. Le proteste sono nate in modo spontaneo – inizialmente i manifestanti chiedevano che il loro governatore venisse giudicato nella sua regione e non da un tribunale di Mosca – poi sono diventate sempre più organizzate e si sono trasformate in cortei sempre più grandi che gridano slogan contro il Cremlino. Chi non è nel corteo suona il clacson dalle macchine, chi non è per strada grida dalle finestre: “Putin dimettiti!”; “Libertà!”; “Cremlino vergognati!”. Perfino la polizia, di solito attenta a tenere basso il volume delle manifestazioni e abituata a disperdere la folla, ha deciso di non intervenire, nonostante nessuna delle manifestazioni fosse autorizzata. Qualche settimana fa gli agenti passeggiavano tra i partecipanti offrendo mascherine, chiedendo di indossarle per diminuire le possibilità di contagio. I manifestanti, stupiti, prendevano la mascherina e la mettevano sul volto, guardavano la polizia e sorridevano, increduli.

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Roma. Le proteste a Khabarovsk, nella Russia orientale, vicino al confine cinese e a poche fermate dal capolinea della ferrovia transiberiana, vanno avanti da tre settimane. E ogni sabato sembrano farsi più grandi, tanto che, durante lo scorso fine settimana, i manifestanti erano tra i cinquantamila e i centomila (gli abitanti della città sono seicentomila), secondo gli organizzatori. Per le autorità locali erano soltanto seimila, ma i giornalisti che hanno seguito da vicino le proteste hanno detto che la folla era la più grande di sempre. Un fiume di malcontento che tiene dentro, ogni fine settimana, diverse classi sociali, avvocati e operai, diverse fasce di età, ragazzi e pensionati, che sono molto arrabbiati con il Cremlino perché ha arrestato il governatore della regione che prende il nome della città. Sergei Furgal si era candidato lo scorso anno per le elezioni locali e, inaspettatamente le aveva vinte. Non era il candidato del presidente Vladimir Putin nella regione, era il rappresentante del Partito liberaldemocratico e non soltanto non si aspettava di vincere, ma non aveva neppure l’intenzione di diventare un contestatore del Cremlino. Nei primi giorni di luglio Furgal è stato arrestato, mentre era a bordo della sua auto è stato fermato e ammanettato con l’accusa di omicidio. Le proteste sono nate in modo spontaneo – inizialmente i manifestanti chiedevano che il loro governatore venisse giudicato nella sua regione e non da un tribunale di Mosca – poi sono diventate sempre più organizzate e si sono trasformate in cortei sempre più grandi che gridano slogan contro il Cremlino. Chi non è nel corteo suona il clacson dalle macchine, chi non è per strada grida dalle finestre: “Putin dimettiti!”; “Libertà!”; “Cremlino vergognati!”. Perfino la polizia, di solito attenta a tenere basso il volume delle manifestazioni e abituata a disperdere la folla, ha deciso di non intervenire, nonostante nessuna delle manifestazioni fosse autorizzata. Qualche settimana fa gli agenti passeggiavano tra i partecipanti offrendo mascherine, chiedendo di indossarle per diminuire le possibilità di contagio. I manifestanti, stupiti, prendevano la mascherina e la mettevano sul volto, guardavano la polizia e sorridevano, increduli.

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Khabarovsk è una regione molto lontana da Mosca e l’esempio di queste proteste è piccolo rispetto al resto della nazione, il consenso di Putin rimane molto alto – e continua a essere al 60 per cento anche dopo la votazione nazionale con cui è riuscito a cambiare la Costituzione e ad azzerare i suoi mandati presidenziali per ricandidarsi nel 2024 – ma nonostante in queste settimane gli abitanti dell’estremo oriente abbiano gridato “Russia svegliati!”, sarà difficile che queste proteste diventino un affare di tutta la nazione. Sono però un segnale di come il paese, che sembra abituato al suo presidente eterno e ha paura di provare qualcun altro, non sia poi così apatico e sia capace di scendere in strada in modo organizzato per tre fine settimana di seguito.

  

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Il Cremlino ha deciso di attendere, è sicuro che le proteste si placheranno da sole, anche la scorsa estate, quando era Mosca ad arrabbiarsi per l’esclusione di alcuni candidati dalle elezioni locali, i manifestanti, soprattutto giovanissimi, smisero di scendere in strada, ci furono tantissimi arresti e anche le violenze della polizia furono molto dure. A Khabarovsk tutto sembra essere più determinato, e anche più ordinato, e a risvegliare tanti manifestanti è stato l’arresto di un governatore che era stato eletto e che stava lavorando bene, un fatto locale. Al suo posto Putin ha nominato la scorsa settimana Mikhail Degtyarev, un politico di trentanove anni vicino al presidente. I giornalisti gli hanno chiesto se avesse intenzione di andare a parlare con i manifestanti. Degtyarev ha detto di aver di meglio di fare. 

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