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La Cina è Frankenstein dice Pompeo, che insiste sul regime change

Giulia Pompili

Il segretario di stato americano denuncia Pechino e distingue tra popolo e Partito cinese. Le reazioni proporzionate di Xi, la guerra dei consolati e il crollo delle Borse mondiali

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Roma. Il discorso del segretario di stato Mike Pompeo alla Nixon Library era uno dei più attesi delle ultime settimane. Dopo la chiusura del consolato cinese a Houston, la ritorsione cinese con la chiusura del consolato americano a Chengdu, e poi il caso di quattro cittadine cinesi che in America sono state accusate di aver nascosto di proposito i loro legami con l’Esercito cinese, la situazione tra Washington e Pechino è sempre più tesa.

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Roma. Il discorso del segretario di stato Mike Pompeo alla Nixon Library era uno dei più attesi delle ultime settimane. Dopo la chiusura del consolato cinese a Houston, la ritorsione cinese con la chiusura del consolato americano a Chengdu, e poi il caso di quattro cittadine cinesi che in America sono state accusate di aver nascosto di proposito i loro legami con l’Esercito cinese, la situazione tra Washington e Pechino è sempre più tesa.

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È in questo contesto che Pompeo, appena concluso il suo tour anticinese in Europa, ha tenuto un discorso per spiegare la posizione ufficiale della Casa Bianca su Pechino: “Il presidente Nixon una volta disse di temere di aver creato un Frankenstein aprendo il mondo al Partito comunista cinese”, ha detto Pompeo, “bene, eccoci qui”. Questo mostro, questo Frankenstein “sempre più aggressivo” è stato creato dalle “nostre politiche aperturiste”, ha detto Pompeo, e ora la Cina “minaccia i nostri cittadini e la nostra ricchezza”.

   

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Nella retorica anticinese, Pompeo fa sempre attenzione a distinguere il Partito dalla Cina, un modo probabilmente per parlare ai riformisti. L’approccio brutale della Casa Bianca nasconde un problema reale – della crescente assertività cinese parliamo almeno da dieci anni – ma è il metodo a preoccupare di più: nel tit for tat tra Washington e Pechino i primi a perderci sono i mercati globali (ieri giornata nera per le borse di mezzo mondo) e le conseguenze sono poco prevedibili. Se Donald Trump, affascinato dalla figura del presidente cinese Xi Jinping, per un po’ è stato argine ai falchi anticinesi, ora sono loro a decidere, insistendo sul “pericolo rosso”.

  

Un dato interessante però c’è: Pechino finora non ha mai reagito in maniera eccessiva alle decisioni americane. Il calcolo della convenienza, da entrambe le parti, non ha un risultato certo.

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