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La cancel culture abbatte il New York Times

Paola Peduzzi

La giornalista Bari Weiss si dimette dal quotidiano liberal: “Il nuovo direttore è Twitter” 

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La lezione del 2016, del voto americano che ha sconvolto ogni cosa, non è stata appresa, ha scritto Bari Weiss nella sua lettera di dimissioni dal New York Times. Avremmo dovuto imparare “l’importanza di comprendere gli altri americani, la necessità di resistere al tribalismo e la centralità del libero scambio di idee per una società democratica”. Invece, “soprattutto in questo giornale”, dice la Weiss – che da tre anni è scrittrice e staff editor della sezione delle opinioni e ha firmato la celebre lettera di Harper’s contro l’intolleranza culturale – è emerso un “new consensus”, secondo il quale “la verità non è un processo di scoperta collettiva ma un’ortodossia già nota a pochi illuminati il cui lavoro è informare tutti gli altri”.

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La lezione del 2016, del voto americano che ha sconvolto ogni cosa, non è stata appresa, ha scritto Bari Weiss nella sua lettera di dimissioni dal New York Times. Avremmo dovuto imparare “l’importanza di comprendere gli altri americani, la necessità di resistere al tribalismo e la centralità del libero scambio di idee per una società democratica”. Invece, “soprattutto in questo giornale”, dice la Weiss – che da tre anni è scrittrice e staff editor della sezione delle opinioni e ha firmato la celebre lettera di Harper’s contro l’intolleranza culturale – è emerso un “new consensus”, secondo il quale “la verità non è un processo di scoperta collettiva ma un’ortodossia già nota a pochi illuminati il cui lavoro è informare tutti gli altri”.

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La Weiss dice di essere stata “costantemente bullizzata” dai colleghi che “non condividevano le mie idee”, idee non conformi al nuovo consenso, per molti controverse anche, ma la sua non è una denuncia personale: non vuole parlare di sé e di quel che ha subìto, ma del suo giornale, e di molti altri che pure non cita. “Twitter non è nella gerenza del New York Times – scrive – ma Twitter è diventato il direttore finale”, quello che ha l’ultima parola, la parola decisiva. “L’etica e i costumi” del social network, i cancelletti e la voglia di cancellare tutto quel che non risponde all’ortodossia e al nuovo consenso, sono diventati quelli del giornale. La sovrapposizione è quasi completa, “le storie vengono scelte e raccontate in modo che soddisfino il pubblico più ristretto invece che permettere a un pubblico curioso di leggere del mondo e poi trarne le proprie conclusioni”.

 

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La Weiss riprende lo “scandalo” dell’op-ed del senatore Tom Cotton – quello che chiedeva l’esercito contro le proteste – che portò alle dimissioni di James Bennet, che era il suo capo e un suo alleato nelle guerre interne al quotidiano, e che ha rivelato quanto andare “against the narrative” sia dannoso, in generale e in particolare in questo New York Times diventato la voce di “una galassia lontana” dalla maggior parte delle persone. La paura di andare controcorrente scende dall’alto su tutte le redazioni, contagia i giornalisti interni e i collaboratori, tutti, anche i più talentuosi, soprattutto loro, che smettono di proporre storie che non siano dentro la galassia lontana perché è come avere “un bersaglio sulla schiena”. Passo dopo passo ci si richiude sul “new consensus” che vive solamente dell’applauso su Twitter.

 

Bari Weiss dice che questo “ambiente illiberale spezza il cuore” e anche lei ha il cuore spezzato a lasciare il New York Times, ma non vede alternative. Ricorda però la migliore visione di giornale in cui si è imbattuta, quella in cui le idee vincono e trovano spazio e voce e legittimità, e che ora non c’è più. Era quella di Adolph Ochs, proprietario del New York Times di fine Ottocento, che nel 1896 voleva che le colonne del quotidiano fossero “un forum per prendere in considerazione tutte le domande di rilevanza pubblica” e che avessero come scopo “l’invito a una discussione intelligente tra le opinioni di tutte le sfumature”.

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