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L’annessione della Cisgiordania non comincerà oggi. Le tappe del piano di Netanyahu

Beatrice Guarrera

Le fazioni interne e quelle esterne, le minacce dei palestinesi e il sostegno americano. Come si muove il premier israeliano per realizzare la sua eredità

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Gerusalemme. “Il governo continuerà a lavorare sull’annessione nei prossimi giorni”: così il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato ieri, alla vigilia del primo luglio. Era questa la data a partire dalla quale, secondo quanto stabilito dall’accordo di governo tra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz, poteva essere presentato in Parlamento il progetto di legge per l’annessione a Israele di parte della Cisgiordania. Già lunedì il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz aveva affermato che quella del primo luglio non era “una data sacra” per l’annessione. Le due dichiarazioni, giunte a seguito di due incontri separati con l’inviato del presidente Trump Avi Berkovitz e l’ambasciatore degli Stati Uniti David Friedman, sembrano dunque suggerire la volontà di Israele di guadagnare tempo. “Qualunque cosa che non abbia a che fare con la lotta al coronavirus può aspettare”, aveva detto Gantz. Israele, sebbene si trovi a dover fare i conti con un aumento esponenziale di contagi da Covid-19 nell’ultima settimana, non sembra voler rinunciare ai suoi piani di annessione. Come e quando verranno attuati concretamente però è difficile dirlo. Secondo alcune indiscrezioni, riportate venerdì scorso dalla tv israeliana Channel 12, Israele avrebbe comunicato al presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas di aver ridimensionato i suoi piani di annessione, limitandosi a due o tre insediamenti israeliani, escludendo la Valle del Giordano. Lo ha riferito un alto funzionario di Ramallah, secondo il quale la notizia sarebbe giunta dal re Abdallah II di Giordania, a seguito dell’incontro avuto in settimana con Yossi Cohen, il capo del Mossad, i servizi segreti israeliani.

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Gerusalemme. “Il governo continuerà a lavorare sull’annessione nei prossimi giorni”: così il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato ieri, alla vigilia del primo luglio. Era questa la data a partire dalla quale, secondo quanto stabilito dall’accordo di governo tra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz, poteva essere presentato in Parlamento il progetto di legge per l’annessione a Israele di parte della Cisgiordania. Già lunedì il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz aveva affermato che quella del primo luglio non era “una data sacra” per l’annessione. Le due dichiarazioni, giunte a seguito di due incontri separati con l’inviato del presidente Trump Avi Berkovitz e l’ambasciatore degli Stati Uniti David Friedman, sembrano dunque suggerire la volontà di Israele di guadagnare tempo. “Qualunque cosa che non abbia a che fare con la lotta al coronavirus può aspettare”, aveva detto Gantz. Israele, sebbene si trovi a dover fare i conti con un aumento esponenziale di contagi da Covid-19 nell’ultima settimana, non sembra voler rinunciare ai suoi piani di annessione. Come e quando verranno attuati concretamente però è difficile dirlo. Secondo alcune indiscrezioni, riportate venerdì scorso dalla tv israeliana Channel 12, Israele avrebbe comunicato al presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas di aver ridimensionato i suoi piani di annessione, limitandosi a due o tre insediamenti israeliani, escludendo la Valle del Giordano. Lo ha riferito un alto funzionario di Ramallah, secondo il quale la notizia sarebbe giunta dal re Abdallah II di Giordania, a seguito dell’incontro avuto in settimana con Yossi Cohen, il capo del Mossad, i servizi segreti israeliani.

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Non è chiaro quali saranno le prossime mosse di Israele, ma nel caso in cui venisse dichiarata l’annessione, potrebbero verificarsi momenti di tensione e già negli ultimi giorni la polizia sembra essere aumentata per le strade di Gerusalemme. “L’annessione ci costerà sangue” diceva una scritta lasciata lunedì alla base di una fontana a Petach Tiqwa, cittadina vicino a Tel Aviv. La fontana, che si trova nella piazza intitolata un anno fa a Trump in onore del suo impegno per aver riconosciuto Gerusalemme capitale di Israele, è stata riempita di liquido rosso sangue. E’ solo una delle iniziative di protesta contro l’annessione. In Israele in Piazza Rabin a Tel Aviv si sono già svolte due grandi manifestazioni contro l’annessione, organizzate dai partiti israeliani di sinistra, a cui hanno preso parte migliaia di persone. In Cisgiordania la più grande manifestazione contro l'annessione si è svolta lunedì 22 giugno nella Valle del Giordano, organizzata dall’Autorità palestinese e dal partito Fatah guidato dal presidente Mahmoud Abbas . Tra i partecipanti di rilievo anche l’inviato speciale dell’Onu per il Medio Oriente, Nickolay Mladenov, il capo missione Ue per la Cisgiordania e Gaza Sven Kuhn von Burgsdorff , e altri tra ambasciatori e consoli.

 

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L’accordo tra Gantz e Netanyahu sull’annessione prevede il pieno consenso degli Stati Uniti in questo processo e l’attivo coinvolgimento della comunità internazionale. Sarà anche per questo che il premier israeliano Netanyahu ha fretta di chiudere la questione prima di novembre, in cui si svolgeranno le elezioni negli Stati Uniti e l’attuale Presidente Donald Trump, suo fido alleato, potrebbe non essere rieletto. Il progetto di annessione di parte dell’Area C (così chiamata dagli “Accordi di Oslo”), e quindi di circa il 30 per cento della Cisgiordania, si inserisce proprio sulla linea del “Piano di Pace” proposto da Trump, che prevede l’annessione della Valle del Giordano e il riconoscimento di uno stato palestinese.

 

Le reazioni internazionali

 

Sembra che lo stesso presidente degli Stati Uniti Donald Trump voglia intervenire direttamente con un “grande annuncio” sui piani di annessione. Lo ha riferito mercoledì scorso Kellyanne Conway, principale consigliera di Donald Trump, specificando che il presidente americano “sta provando a essere un agente di pace per il medio oriente”. La scorsa settimana il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto invece a Israele di abbandonare i suoi piani di annessione di parte della Cisgiordania occupata. Anche Michelle Bachelet, alto commissario Onu per i diritti umani, ha denunciato lunedì che "qualsiasi annessione, sia che si tratti del 30 per cento della Cisgiordania, sia che si tratti del 5 per cento è illegale”. L’Italia si è detta pronta a lavorare per prevenire l’annessione e passi unilaterali, come ha riferito la settimana scorsa la viceministro degli Affari esteri Marina Sereni, in occasione di un incontro alla Farnesina, con una delegazione di otto ambasciatori della Lega araba. Proprio la Lega Araba nella risoluzione 8522, emessa il 30 aprile al Cairo, ha dichiarato l’annessione come un "crimine di guerra”. Mercoledì scorso Ahmed Aboul Gheit, segretario generale dell’organizzazione composta dai 22 paesi arabi, ha affermato che l’annessione di parti della Cisgiordania infiammerebbe le tensioni, metterebbe in pericolo la pace in medio oriente e potrebbe innescare “una guerra religiosa dentro e fuori la nostra regione”. Anche il re Abdallah II di Giordania (con oltre il 50 per cento della popolazione di origine palestinese) ha avvertito da tempo che se Israele proseguirà con il suo piano di annessione, entrerà in conflitto politico e diplomatico con il regno ashemita.

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L’opposizione interna

 

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Oltre all’opposizione esterna, Netanyahu deve anche affrontare l’ostilità al suo progetto da parte di alcune componenti della società israeliana. Nei territori che Netanyahu vorrebbe annettere a Israele, oltre a circa 100 mila palestinesi, vivono infatti 450.000 coloni negli insediamenti israeliani. Secondo molti di loro, un voto all’annessione degli insediamenti potrebbe poi portare al riconoscimento di uno stato palestinese, così come previsto dal Piano di Trump. Riconoscimento per loro inconcepibile, guidati dall’idea che la biblica “Terra di Israele” appartenga soltanto agli ebrei. “Non accetteremo mai la creazione di uno stato palestinese”, sostiene David ElHayani, presidente di Yesha, il consiglio delle colonie ebraiche in Cisgiordania, che per la sua campagna di manifesti ha scelto lo slogan: “Sovranità – Fallo nel modo giusto!”. Tra gli stessi coloni, circolano però anche idee differenti, come nel caso di Oded Ravivi, il capo del consiglio locale di Efrat che si è detto molto più possibilista sull’accettare l’annessione e il Piano di Trump. “Non possiamo dire di no a tutto – avrebbe detto a fine maggio, secondo il quotidiano Haaretz – Penso che il Piano si riferisca innanzitutto a ciò che è possibile in un prossimo futuro, ovvero estendere la sovranità, e quindi da lì si potrà iniziare a negoziare e vedere il resto”.

 

L’Autorità palestinese

 

L’Autorità palestinese da parte sua rifiuta ogni trattativa sul tema e già da un mese ha annunciato la sua decisione di rinunciare agli accordi con Israele e con gli Stati Uniti, a causa della volontà di annessione e del Piano di Pace di Trump. “Da istituzione ad interim, l’Autorità palestinese passerà ad una manifestazione dello stato sul campo con un Consiglio di fondazione, una Dichiarazione costitutiva – ha affermato il primo ministro palestinese Mohammed Shtayyeh in una conferenza stampa del 9 giugno -– La Palestina si estenderà lungo i confini del 67 con Gerusalemme capitale”. Giovedì scorso il portavoce delle brigate Izzaldin al Qassam, braccio armato di Hamas, ha dichiarato in un comunicato che l’annessione, se attuata, verrà interpretata come una “dichiarazione di guerra”. Sabato, Hamas ha fatto sapere che gli ultimi bombardamenti da parte di Israele nella Striscia di Gaza, in risposta al lancio di alcuni razzi venerdì notte, “aumentano la nostra determinazione a gestire il piano di annessione”. Nel frattempo i servizi di sicurezza palestinesi hanno distrutto documenti segreti, temendo possibili incursioni israeliane nei loro uffici, così come avvenne nel 2000 durante la Seconda Intifada. Lo conferma anche una fonte interna ai servizi di sicurezza che ha riferito all’AFP in condizione di anonimato di aver ricevuto “ordini dall’alto, di distruggere i documenti riservati in nostro possesso”. I documenti sarebbero stati salvati su dispositivi elettronici, prima che le copie cartacee fossero distrutte. Il Presidente dell’Autorità Palestinese Abbas, in un discorso in videoconferenza davanti al parlamento arabo (l’organo della Lega araba), ha affermato che se il piano di annessione venisse attuato, sarebbe il momento in cui Israele dovrebbe “assumersi le proprie responsabilità sui territori occupati in conformità con la Quarta Convenzione di Ginevra!. Dichiarazione che – secondo quanto detto da un ufficiale dell’Ap al quotidiano Jerusalem Post – sarebbe un chiaro messaggio della sua intenzione di sciogliere l’Autorità palestinese nel caso in cui venisse attuato il piano di annessione.

 

Secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, Israele si starebbe preparando da tempo all’annessione. Sotto accusa sono le demolizioni di abitazioni e pozzi di acqua nella zona della Valle del Giordano, intensificate negli ultimi anni, oltre che il via libera alla costruzione di colonie illegali sempre più numerose.

 

L’eredità di Bibi

 

Secondo una analisi del quotidiano Haaretz, ci sono alcuni fattori specifici che determineranno la buona riuscita del progetto di annessione di Netanyahu. L’annessione potrebbe essere la sua eredità politica, pagata a un prezzo nemmeno così alto, visto che la comunità internazionale è concentrata al momento su altri problemi (pandemia in primis). La possibilità di scaricare la colpa sui suoi avversari politici in caso di fallimento del piano è una carta a suo favore, così come l’eventualità che questo diventi motivo di rottura del suo accordo di governo con il partito di Gantz. La questione dell’annessione è inoltre un ottimo diversivo che allontani i cittadini dal pensiero del suo processo imminente per corruzione e dalla sua mancanza di strategia per sopperire alla crisi post Covid-19. In ultimo ma fondamentale, sarà poi il fattore “Americani”: quale posizione assumerà il presidente Trump e davvero Netanyahu potrebbe mai rinunciare al suo piano?

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