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The shooting President

Daniele Ranieri

Trump usa toni durissimi contro i saccheggi di Minneapolis, “faccio intervenire l’esercito e farò sparare”

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Roma. La morte di George Floyd è l’ultima in una lunga sequenza di violenze contro gli afroamericani, ma questa volta l’America che fa da sfondo non è più lo stesso paese. Ieri Twitter ha oscurato un tweet del presidente Donald Trump perché conteneva una minaccia violenta contro la massa di gente che per tre notti consecutive è scesa nelle strade di Minneapolis in parte a manifestare e in parte a devastare la città e a saccheggiare i negozi. “Questi criminali stanno disonorando il ricordo di George Floyd e non lascerò che succeda. Ho appena parlato al governatore Tim Walz e gli ho detto che l’esercito sarà sempre al suo fianco. Qualsiasi difficoltà e assumeremo il controllo della situazione ma quando comincia il saccheggio si comincerà a fare fuoco. Grazie!”, ha scritto Trump. L’espressione usata da Trump è “when the looting starts, the shooting starts”, che è una frase detta in almeno un paio di occasioni dal capo della polizia di Miami, Walter Headley, durante gli scontri razziali del 1967. Headley era considerato un razzista e un duro, aveva abolito il programma di mediatori culturali che avrebbe dovuto negoziare un po’ di stabilità nei quartieri neri e aveva annunciato che la polizia avrebbe risolto il problema “con i fucili e i cani”. Twitter nella nota che accompagna l’oscuramento del tweet fa esplicito riferimento a quella frase e al contesto storico che riporta in vita.

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Roma. La morte di George Floyd è l’ultima in una lunga sequenza di violenze contro gli afroamericani, ma questa volta l’America che fa da sfondo non è più lo stesso paese. Ieri Twitter ha oscurato un tweet del presidente Donald Trump perché conteneva una minaccia violenta contro la massa di gente che per tre notti consecutive è scesa nelle strade di Minneapolis in parte a manifestare e in parte a devastare la città e a saccheggiare i negozi. “Questi criminali stanno disonorando il ricordo di George Floyd e non lascerò che succeda. Ho appena parlato al governatore Tim Walz e gli ho detto che l’esercito sarà sempre al suo fianco. Qualsiasi difficoltà e assumeremo il controllo della situazione ma quando comincia il saccheggio si comincerà a fare fuoco. Grazie!”, ha scritto Trump. L’espressione usata da Trump è “when the looting starts, the shooting starts”, che è una frase detta in almeno un paio di occasioni dal capo della polizia di Miami, Walter Headley, durante gli scontri razziali del 1967. Headley era considerato un razzista e un duro, aveva abolito il programma di mediatori culturali che avrebbe dovuto negoziare un po’ di stabilità nei quartieri neri e aveva annunciato che la polizia avrebbe risolto il problema “con i fucili e i cani”. Twitter nella nota che accompagna l’oscuramento del tweet fa esplicito riferimento a quella frase e al contesto storico che riporta in vita.

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Il presidente americano è furioso con Twitter, perché questa semicensura – i tweet sono ancora visibili, ma c’è un avvertimento sopra o sotto che mette in guardia dal contenuto – smorza lo slancio dei suoi messaggi. Tre giorni fa Twitter ha cominciato a fare fact-checking dei tweet del presidente ora ha aumentato il livello di sorveglianza e li oscura. E’ come se volesse andare a uno scontro diretto. Trump da tempo è convinto che i social media siano sbilanciati a favore della sinistra – non è così: sono stati un grande acceleratore per populisti e nazionalisti e lui ne è la prova vivente – e ha ordinato di preparare un ordine esecutivo che spoglierebbe i social della protezione data dalla sezione 230 della legge del 1996 che disciplina l’uso di internet e stabilisce che i siti non sono responsabili legalmente per quello che postano i loro utenti. Tuttavia il presidente non ha prestato attenzione al fatto che senza quella protezione i social dovrebbero essere molto più attenti – e i messaggi del presidente sarebbero i primi a essere bloccati. Nel frattempo Joe Biden lo sfidante democratico, su Twitter se la cavava in questo modo: “Enough”. Basta così.

 

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Mentre Trump prometteva al governatore l’appoggio dell’esercito e una reazione durissima, il sindaco di Minneapolis, Jacob Frey, dava ordine alla polizia di evacuare l’edificio del terzo distretto assediato da manifestanti violenti – in modo da minimizzare il rischio di uno scontro a oltranza e di altre morti. La folla ha devastato il palazzo e lo ha dato alle fiamme e i pompieri non potevano avvicinarsi a spegnere l’incendio “perché – hanno detto – non ci sono le condizioni di sicurezza”. Poche ore dopo un reporter della rete americana Cnn è stato arrestato dalla polizia durante una diretta assieme con un aiutante e un cameraman, anche se non stava facendo nulla, e rilasciato poche ore dopo. Anche se i giornalisti in studio dicevano di non avere mai visto qualcosa di simile, l’arresto di giornalisti che coprono le proteste in America non è qualcosa di nuovo: almeno in quaranta furono arrestati nel 2008 durante i disordini attorno alla Convention dei repubblicani proprio nel Minnesota e altri negli anni seguenti furono arrestati durante le proteste del movimento Occupy Wall Street e durante gli scontri a Ferguson. Ma l’annuncio del presidente di un ordine esecutivo contro i social media (che però non avrebbe effetto contro la legge e la Costituzione), la minaccia di portare l’esercito a sparare in strada e l’arresto in diretta ai danni della Cnn si accumulano e proiettano l’immagine di un potere autoritario o almeno di una tentazione autoritaria tenuta male a bada e contenuta.

 

A metà giornata è arrivata la notizia dell’arresto di Derek Chauvin, il poliziotto filmato con il ginocchio sul collo della vittima George Floyd. I due, è saltato fuori ieri, si conoscevano perché avevano lavorato assieme come buttafuori.

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