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Il fatalismo negazionista di Bolsonaro ottiene un’epidemia da record

Cecilia Sala

Il presidente brasiliano si è ritrovato nella classica situazione “perso-perso”: la pandemia avanza, il suo consenso personale crolla e la crisi politica incombe

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Roma. Jair Bolsonaro si è ritrovato nella classica situazione “perso-perso”: la pandemia avanza, il suo consenso personale crolla e la crisi politica incombe. La strategia che il presidente brasiliano voleva seguire – imitando Donald Trump e poi, anche, superandolo – era quella di evitare una crisi economica a ogni costo. Considerata da entrambi i leader la peggiore disgrazia possibile per il proprio consenso personale. La posizione da tenere per fronteggiare la pandemia doveva essere quindi il fatalismo, sperando che nel gigante sudamericano il Covid non avrebbe attecchito come altrove. Oppure lasciando fare ai governatori locali i lockdown per poi poter dire “ve l’avevo detto” quando sarebbe passata l’emergenza sanitaria e iniziata quella economica.

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Roma. Jair Bolsonaro si è ritrovato nella classica situazione “perso-perso”: la pandemia avanza, il suo consenso personale crolla e la crisi politica incombe. La strategia che il presidente brasiliano voleva seguire – imitando Donald Trump e poi, anche, superandolo – era quella di evitare una crisi economica a ogni costo. Considerata da entrambi i leader la peggiore disgrazia possibile per il proprio consenso personale. La posizione da tenere per fronteggiare la pandemia doveva essere quindi il fatalismo, sperando che nel gigante sudamericano il Covid non avrebbe attecchito come altrove. Oppure lasciando fare ai governatori locali i lockdown per poi poter dire “ve l’avevo detto” quando sarebbe passata l’emergenza sanitaria e iniziata quella economica.

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Ma le cose si sono messe davvero male, la crisi è arrivata negli ospedali e, contemporaneamente, nel governo. Bruno Covas, il sindaco di San Paolo, la capitale economica del paese e l’epicentro della pandemia, ha comunicato che entro due settimane le strutture sanitarie della città che ha 13 milioni di abitanti non saranno più in grado di accogliere nuovi contagiati con sintomi gravi. Oggi il Brasile ha l’indicatore R0 più alto del mondo e secondo uno studio della Johns Hopkins University sta per diventare il prossimo epicentro globale. Per il sindaco Covas, il presidente della Repubblica federale sta sottoponendo i propri cittadini alla “roulette russa”. 

 

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Bolsonaro è nei guai. A quanto pare nessun ministro della Salute può convivere con lui, almeno nessun ministro della Salute che abbia una laurea in medicina. Dopo le dimissioni di Luiz Henrique Mandetta, ortopedico, che aveva lasciato il suo incarico il 16 aprile, ha fatto lo stesso anche il suo successore Nelson Teich, oncologo, durato solo ventotto giorni. Il suo posto sarà adesso occupato – ad interim – da un militare, che molto probabilmente non mostrerà troppo spirito di iniziativa e preferirà seguire le indicazioni del capo di stato più negazionista del pianeta. In entrambi i casi, Mandetta e Teich, le dimissioni non sono state spontanee, ma richieste dallo stesso Bolsonaro. Mandetta doveva essere rimosso perché in contrasto aperto con il presidente, la sua linea era quella di imporre un lockdown simile a quelli che si sono visti in Europa e più in generale seguire tutte le indicazioni prescritte dall’Oms, le sue posizioni, secondo i sondaggi, erano sostenute dal 76 per cento della popolazione, tre brasiliani su quattro. La cosa incredibile è che anche Teich, scelto perché proponeva una linea molto più morbida di lotta al virus – nel momento del suo insediamento aveva promesso di far cessare il lockdown deciso dai governatori e assicurato una “sintonia totale” con Bolsonaro – non è sembrato sufficientemente risoluto agli occhi del presidente. Che è sempre più impermeabile alla realtà. Quando il Brasile ha superato il numero di morti per Covid dichiarati dalla Cina, in conferenza stampa ha risposto ai giornalisti: “E allora? Che volete che ci faccia?”.

 

E siamo al caos nel gvoerno. Si è dimesso anche il popolarissimo ministro della giustizia Sergio Moro, l’Antonio Di Pietro brasiliano che con l’inchiesta “Lava Jato” aveva praticamente azzerato la classe politica locale, portando all’incarcerazione dell’ex presidente Luiz Inácio Lula e all’impeachment della sua erede Dilma Rousseff. L’inchiesta aveva anche spianato la strada a Bolsonaro, che una volta vinte le elezioni – anche grazie all’argomento della lotta alla corruzione sfruttato in campagna elettorale – aveva ricompensato Moro con il ministero. Le dimissioni sono arrivate dopo che Bolsonaro ha licenziato il capo della polizia federale senza darne alcun motivo ufficiale, l’intenzione del presidente è sembrata quella di ostacolare le indagini in corso sui suoi figli, due dei quali sono accusati proprio di corruzione. Una vicenda per cui, adesso, sta seriamente rischiando l’impeachment.

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