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I primi buoni risultati

Che sollievo il vaccino, ma il nazionalismo rischia di rovinare pure questa festa

Paola Peduzzi

L’americana Moderna annuncia test di successo contro il coronavirus. Ma non è che poi Trump se lo tiene per sé?

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Milano. Lunedì la società farmaceutica americana Moderna ha annunciato che otto persone testate con un vaccino da inizio marzo hanno sviluppato gli stessi anticorpi di chi ha contratto il coronavirus ed è guarito. Questo significa che ci sono buoni segnali – ma non la prova definitiva, il test è in corso – che il vaccino possa creare un’immunità. La notizia è stata accolta con un enorme sollievo da Wall Street, Moderna ha guadagnato in pochissimo tempo il 40 per cento, e il vertice dell’azienda ha fatto sapere che ora inizierà una fase di test su 600 volontari e a luglio si passerà a oltre un migliaio di test. Se tutto dovesse andare bene, il vaccino sarà sviluppato entro l’anno (al massimo all’inizio del prossimo): e per la distribuzione? Facciamo il possibile, dice Moderna, che ha già fatto una scelta importante in questo senso: sono stati testati tre diversi tipi di dosaggi, basso medio e alto. I test stanno andando bene sui primi due – per bene s’intende che sono stati registrati rossori e prurito nel punto di somministrazione e in alcuni casi la febbre – e quindi Moderna ha escluso il terzo dosaggio, quello alto: meglio usarne meno su più persone, visto che l’efficacia di un vaccino si misura sul medicinale, certamente, ma anche sulla capillarità di distribuzione. Ancor più se si è in mezzo a una pandemia globale. Moderna ha anche specificato: stiamo andando molto veloci. Qualche giorno fa, il presidente Donald Trump ha aumentato la pressione sulle società farmaceutiche con un nuovo comitato d’azione – l’Operation Warp Speed. Il capo di questa task force è Moncef Slaoui, che prima della nomina era nel board di Moderna. 

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Milano. Lunedì la società farmaceutica americana Moderna ha annunciato che otto persone testate con un vaccino da inizio marzo hanno sviluppato gli stessi anticorpi di chi ha contratto il coronavirus ed è guarito. Questo significa che ci sono buoni segnali – ma non la prova definitiva, il test è in corso – che il vaccino possa creare un’immunità. La notizia è stata accolta con un enorme sollievo da Wall Street, Moderna ha guadagnato in pochissimo tempo il 40 per cento, e il vertice dell’azienda ha fatto sapere che ora inizierà una fase di test su 600 volontari e a luglio si passerà a oltre un migliaio di test. Se tutto dovesse andare bene, il vaccino sarà sviluppato entro l’anno (al massimo all’inizio del prossimo): e per la distribuzione? Facciamo il possibile, dice Moderna, che ha già fatto una scelta importante in questo senso: sono stati testati tre diversi tipi di dosaggi, basso medio e alto. I test stanno andando bene sui primi due – per bene s’intende che sono stati registrati rossori e prurito nel punto di somministrazione e in alcuni casi la febbre – e quindi Moderna ha escluso il terzo dosaggio, quello alto: meglio usarne meno su più persone, visto che l’efficacia di un vaccino si misura sul medicinale, certamente, ma anche sulla capillarità di distribuzione. Ancor più se si è in mezzo a una pandemia globale. Moderna ha anche specificato: stiamo andando molto veloci. Qualche giorno fa, il presidente Donald Trump ha aumentato la pressione sulle società farmaceutiche con un nuovo comitato d’azione – l’Operation Warp Speed. Il capo di questa task force è Moncef Slaoui, che prima della nomina era nel board di Moderna. 

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Trump ha detto di essere pronto a mobilitare l’esercito per una distribuzione capillare negli Stati Uniti: fareste bene a tirar fuori un buon vaccino, ha detto il presidente, perché noi siamo pronti a distribuirlo. Immaginate che effetto farebbe un vaccino americano a settembre o ottobre, giusto prima delle elezioni presidenziali. Per questo le pressioni sono molto alte. Da qualche settimana Moderna ha attivato collaborazioni con altre aziende per espandere la propria capacità di produzione.

 

In Europa si guarda con trepidazione ai test del vaccino studiato a Oxford – con una partecipazione italiana – che sembrano andare bene. Sky News ha dedicato un lungo servizio per spiegare come funziona il test di questo vaccino conosciuto come ChAdOx1nCov-19 (Chaddox One, dicono gli inglesi): 1.102 volontari dai 18 ai 55 anni cui è stato somministrato in modo casuale il vaccino contro il coronavirus e uno contro la meningite. Ancora non ci sono dati certi, ma il governo inglese ha fatto sapere che “potenzialmente” a settembre saranno pronte 30 milioni di dosi. I primi risultati erano attesi per metà giugno, ma da giorni girano voci su test molto promettenti da comunicare prima del previsto.

 

Come ha raccontato il Wall Street Journal, molti esperti contano sul fatto che siano più vaccini a passare il traguardo perché in questo modo si potranno produrre più dosi e aumentare la percentuale di persone cui saranno somministrate. Walter Orenstein del centro vaccini dell’Università Emory di Atlanta ha detto al quotidiano americano: idealmente dovremmo avere sette/otto miliardi di dosi il giorno dopo che è stata data la licenza ufficiale, così saremmo sicuri della distribuzione. Considerando che siamo di fronte a una pandemia, l’ottimo è vaccinare l’intera popolazione mondiale. L’ottimo sarebbe anche che a occuparsene fosse l’Organizzazione mondiale della sanità, come fa da sempre con i vaccini, ma è improbabile che accada ora che la credibilità dell’Oms è molto discussa e gli Stati Uniti hanno sospeso i propri contributi. La verità è, dice Orenstein, che probabilmente non ci saranno dosi sufficienti nemmeno per la popolazione americana.

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Nel 2009, ha raccontato il Financial Times, quando ci fu l’influenza suina i paesi più ricchi fecero di tutto per accaparrarsi i vaccini, “con i paesi più poveri in fondo alla fila”. Il governo australiano vietò alle proprie compagnie farmaceutiche di vendere dosi di vaccino agli Stati Uniti prima di avere quelle sufficienti per immunizzare tutta la popolazione. E pure l’Amministrazione Obama diede la priorità ai cittadini americani. Molti sostengono che quell’esperienza rischia di ripetersi oggi ma in una versione molto più devastante. Per i numeri: la suina uccise 18 mila persone. Per la situazione politica: oggi il proprio interesse nazionale “first” è una dottrina al potere, in particolare nella più grande potenza del mondo. Come ha scritto Edward Luce in uno dei resoconti più belli e agghiaccianti della gestione del coronavirus da parte di Trump, questa è la prima emergenza mondiale che dobbiamo gestire senza l’America. Anzi, con l’America che vuole badare prima a sé (e alla rielezione del presidente) e che ha come rivale dichiarato la Cina – quattro dei vaccini candidati a diventare “il” vaccino sono, secondo l’Oms, cinesi.

 

I multilateralisti sperano che ci saranno più vaccini disponibili, in modo da sconfiggere in partenza gli istinti sovranisti. Ma i leader nazionalisti quelli che prima era solo un’influenza, poi che moriranno i vostri cari, siate pronti, poi chiudiamo tutto, poi riapriamo tutto in fretta, ecco per loro conta solo una cosa: arrivare primi, salvare i propri cittadini per primi. Come dice Stuart Blume, docente dell’Università di Amsterdam: “Siamo in uno stato geopolitico molto misero per affrontare una crisi globale”. Per questo la notizia di Moderna lunedì ha creato da un lato un grande sollievo oltre che una corsa verso l’alto dei mercati: la possibilità che un vaccino contro il coronavirus si trovi davvero sembra sempre più consistente. La grande differenza rispetto al passato è: facciamo il tifo per l’America? Tutto fa pensare che Trump ci farà pagare caro il nostro sollievo.

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