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La via portoghese

Giovanni Damele

Carceri e immigrati. Come una classe politica conscia delle fragilità del paese ha affrontato l’emergenza

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Negli ultimi giorni, nella stampa internazionale si parla di un presunto “caso portoghese”: di una gestione sorprendentemente efficace dell’attuale emergenza. Come spesso succede, è bene moderare i toni. Il Portogallo ha probabilmente goduto del confronto con altri paesi dell’Europa meridionale e soprattutto con la vicina Spagna. E’ stato giustamente sottolineato, tra l’altro su questo giornale da Luciano Capone, come una parte del temporaneo e relativo successo portoghese sia dovuto anzitutto alla consapevolezza delle proprie fragilità, condivisa inizialmente forse più dalla società che dalle istituzioni portoghesi. Non è mancato poi chi abbia visto nell’attuale situazione portoghese, senz’altro meno drammatica di quella spagnola ma di certo non tra le migliori, l’influenza di variabili indipendenti dall’azione governativa: il caso (l’esplosione ritardata della pandemia) o il contesto (la scarsa densità della popolazione, alcuni elementi di scarso sviluppo sociale). La fortuna, però, diceva Machiavelli, governa le nostre azioni per metà o poco più. Il resto, dipende dalla virtù. Forse per questo, due decisioni prese dal Parlamento e dal governo portoghese, che si possono definire virtuose, hanno particolarmente attirato l’attenzione della stampa italiana. Soprattutto perché affrontano due problemi comuni ai due paesi e sui quali anche in questo caso il dibattito italiano, come puntualmente accade, si è avvitato su se stesso: il sovraffollamento carcerario e la condizione degli immigrati. Il fatto che tanta attenzione sia stata suscitata da due decisioni tutto sommato pragmatiche dice più della situazione italiana che di quella portoghese. 

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Negli ultimi giorni, nella stampa internazionale si parla di un presunto “caso portoghese”: di una gestione sorprendentemente efficace dell’attuale emergenza. Come spesso succede, è bene moderare i toni. Il Portogallo ha probabilmente goduto del confronto con altri paesi dell’Europa meridionale e soprattutto con la vicina Spagna. E’ stato giustamente sottolineato, tra l’altro su questo giornale da Luciano Capone, come una parte del temporaneo e relativo successo portoghese sia dovuto anzitutto alla consapevolezza delle proprie fragilità, condivisa inizialmente forse più dalla società che dalle istituzioni portoghesi. Non è mancato poi chi abbia visto nell’attuale situazione portoghese, senz’altro meno drammatica di quella spagnola ma di certo non tra le migliori, l’influenza di variabili indipendenti dall’azione governativa: il caso (l’esplosione ritardata della pandemia) o il contesto (la scarsa densità della popolazione, alcuni elementi di scarso sviluppo sociale). La fortuna, però, diceva Machiavelli, governa le nostre azioni per metà o poco più. Il resto, dipende dalla virtù. Forse per questo, due decisioni prese dal Parlamento e dal governo portoghese, che si possono definire virtuose, hanno particolarmente attirato l’attenzione della stampa italiana. Soprattutto perché affrontano due problemi comuni ai due paesi e sui quali anche in questo caso il dibattito italiano, come puntualmente accade, si è avvitato su se stesso: il sovraffollamento carcerario e la condizione degli immigrati. Il fatto che tanta attenzione sia stata suscitata da due decisioni tutto sommato pragmatiche dice più della situazione italiana che di quella portoghese. 

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Consapevolezza della propria fragilità, si diceva. Cominciamo allora dalle carceri. La situazione portoghese non è migliore di quella italiana. Strutture fatiscenti, sovraffollamento e precarie condizioni igienico-sanitarie sono la norma anche negli istituti di pena lusitani. Di fronte a questo stato di cose, il Parlamento portoghese ha approvato a maggioranza, l’8 aprile scorso, un intervento che si può definire sistemico, perché comprende, a seconda delle situazioni, un indulto parziale, una grazia per i detenuti inclusi nelle categorie più vulnerabili (i detenuti più anziani), un regime semplificato (su decisione amministrativa) di detenzione domiciliare e un regime di libertà condizionale anticipata. Secondo le stime più recenti, queste misure dovrebbero determinare la scarcerazione di circa duemila detenuti su un totale di meno di tredicimila. Si tratta, come si vede, di un provvedimento dai chiari caratteri emergenziali, destinato ad alleviare parzialmente e temporaneamente una situazione potenzialmente esplosiva sul piano della salute pubblica.

 

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Sul tema dell’immigrazione, invece, il governo si era già mosso il 27 marzo con un’ordinanza interministeriale, intervenendo sui procedimenti pendenti di rilascio e di rinnovo dei permessi di soggiorno con l’obiettivo, tra l’altro, di garantire il rispetto dei diritti minimi di accesso al servizio sanitario. L’ordinanza riguarda gli stranieri che abbiano presentato regolare richiesta di permesso o di asilo al Servizio degli Stranieri e delle Frontiere (Sef) entro il 18 marzo, data dell’entrata in vigore del primo stato di emergenza. Poiché gli sportelli del Sef sono stati chiusi ai casi non urgenti fino al 30 giugno, a partire dal 1° luglio lo stesso servizio dovrà riprendere le normali pratiche di regolarizzazione, rispettando l’ordine cronologico delle domande. La misura, quindi, in questo caso non è soltanto emergenziale ma anche del tutto transitoria e strettamente dipendente dalla proclamazione dello stato di emergenza. Da un lato, protegge sicuramente gli immigrati in attesa di regolarizzazione e i richiedenti asilo, dall’altro vuole favorire l’emersione di uno strato della popolazione che sarebbe stato condannato, dalla contemporanea chiusura delle frontiere e del Sef, all’invisibilità, sfuggendo a ogni controllo sanitario.

 

Il carattere eccezionale ed emergenziale di entrambi i provvedimenti e la loro natura di misure più di salute pubblica che di politica carceraria o dell’immigrazione hanno fatto sì che ricevessero debole opposizione, quando non generale consenso, suscitando scarso dibattito nell’opinione pubblica. L’opposizione alla legge sulle carceri, proveniente dai partiti di centrodestra, si è per lo più concentrata sulla concessione dell’indulto e, in ogni caso, non è stata sfruttata a fini propagandistici. Sui giornali, sia la legge sia la circolare sono passate più come una semplice notizia che come un tema di dibattito o di polemica. Certo, se ci si concentra più sui commenti dei lettori agli articoli che sugli stessi articoli, il panorama può cambiare sensibilmente. Si tratta però, come è ovvio, di un aspetto che non ha conseguenze di breve termine.

 

Resta un’indubbia situazione di fragilità: le carceri continuano a essere malsane e affollate, gli immigrati e i richiedenti asilo continuano a trovare ospizio in “ostelli” dalle condizioni igieniche più che precarie. Uno di essi, recentemente individuato nel pieno centro di Lisbona come un autentico focolaio di contagio, ha fatto suonare un allarme decisamente tardivo. Di fronte a questo panorama, e con un servizio sanitario nazionale periclitante e sottodimensionato, è giusto riconoscere alla classe politica portoghese un senso di responsabilità che altrove è mancato. Almeno nella gestione immediata dell’emergenza.

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Giovanni Damele è docente all'Universidade Nova de Lisboa

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