PUBBLICITÁ

Terzo mondo americano

Daniele Ranieri

La pandemia arriva ma il paese è impreparato. La California chiude, a NYC il sistema ospedaliero è in crisi

PUBBLICITÁ

Roma. Manca ancora un mese e mezzo al picco dei contagi nella città di New York secondo il governatore Andrew Cuomo, ma il sistema ospedaliero della città è già in crisi adesso. Secondo il Wall Street Journal, i grandi ospedali pubblici sono rimasti senza mascherine e abiti protettivi e in alcuni casi hanno già riempito i letti dei reparti di terapia intensiva – con molto anticipo sul grosso della pandemia. Le infermiere raccontano di disposizioni d’emergenza che sanno di disperazione, come per esempio farsi durare una scatola di mascherine per una settimana (andrebbero cambiate di continuo, per non facilitare la trasmissione del virus) e della mancanza di protezioni adeguate. Trattare con i contagiati da Covid-19 è un lavoro complesso che richiede una procedura di sicurezza fatta di maschere di protezione, ambienti sterili, distruzione del materiale infetto e altro, ma è come se il sistema fosse stato colto impreparato. Eppure il primo caso americano di Covid-19 risale a gennaio, nello stesso giorno del primo caso in Corea del sud – che nel frattempo è entrata in una crisi controllata e ne sta uscendo.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Roma. Manca ancora un mese e mezzo al picco dei contagi nella città di New York secondo il governatore Andrew Cuomo, ma il sistema ospedaliero della città è già in crisi adesso. Secondo il Wall Street Journal, i grandi ospedali pubblici sono rimasti senza mascherine e abiti protettivi e in alcuni casi hanno già riempito i letti dei reparti di terapia intensiva – con molto anticipo sul grosso della pandemia. Le infermiere raccontano di disposizioni d’emergenza che sanno di disperazione, come per esempio farsi durare una scatola di mascherine per una settimana (andrebbero cambiate di continuo, per non facilitare la trasmissione del virus) e della mancanza di protezioni adeguate. Trattare con i contagiati da Covid-19 è un lavoro complesso che richiede una procedura di sicurezza fatta di maschere di protezione, ambienti sterili, distruzione del materiale infetto e altro, ma è come se il sistema fosse stato colto impreparato. Eppure il primo caso americano di Covid-19 risale a gennaio, nello stesso giorno del primo caso in Corea del sud – che nel frattempo è entrata in una crisi controllata e ne sta uscendo.

PUBBLICITÁ

 

New York è il focolaio più attivo del virus con circa il 42 per cento di tutti i casi registrati in America – quasi cinquemila – per non parlare degli asintomatici o degli infetti ancora in incubazione che, come sappiamo, possono essere molti di più. C’è anche un problema enorme e a suo modo misterioso di rilevazione: i test vanno a rilento, la nazione più avanzata del mondo è molto indietro con i tamponi – e quindi c’è da pensare che stia sottostimando le dimensioni del contagio. Il numero dei posti di terapia intensiva nell’area di New York è circa tremila, 777 sono già occupati e se la crescita esponenziale continua di questo passo gli altri saranno terminati in dieci giorni nella città che conta più di otto milioni di abitanti. “Stiamo prendendo botte – dice al Wsj Mangala Narasimhan, una dottoressa del Long Island Jewish Medical Center, che fa parte del più grande plesso ospedaliero di New York – Sono quindici anni che lavoro nel reparto di terapia intensiva e non avevo mai visto nulla di simile”.

 

PUBBLICITÁ

Il governatore Cuomo dice che nei prossimi giorni serviranno “decine di migliaia di posti in terapia intensiva”. Il Pentagono ha promesso che manderà una nave ospedale, la USNS Comfort, nel porto di New York per aiutare – ma ci vorranno almeno due settimane perché adesso è ancora nella base di Norfolk in manutenzione. Dopo tre giorni in cui la notizia sembrava imminente, ieri lo stato di New York ha detto (“ha detto”, non ha ordinato) a tutti i cittadini di restare a casa e ha detto a tutti i negozi e le attività non essenziali di lasciare i propri lavoratori a casa. La regione va con molto ritardo verso una versione debole dello stato di quarantena imposto in Italia, che a sua volta è una versione debole dello stato di quarantena durato per cinquanta giorni a Wuhan, in Cina. A Wuhan – che è più grande e ha undici milioni di abitanti – il picco dei nuovi casi di contagio è arrivato quando la città era già isolata da un mese. Se il virus dovesse manifestarsi a New York con la stessa potenza che si è vista nella città cinese ci sarebbero molti più morti, con la differenza che la crisi era ampiamente prevedibile. Ma si insiste con l’approccio progressivo. Nel frattempo dall’altra parte degli Stati Uniti la California ha ordinato ai 40 milioni di abitanti di restare a casa. Il governatore Gavin Newsom ha spiegato nel suo discorso che nelle prossime otto settimane circa 25 milioni di californiani potrebbero essere infettati e quindi “vi dico quello che dico alla mia famiglia: restate a casa. Un giorno ci guarderemo indietro e capiremo quanto è stata importante questa decisione”. Newsom parlava da uno speciale centro per le emergenze a Sacramento che di solito è usato durante gli incendi e i terremoti. Nel sistema federale americano, la responsabilità di ordinare il lockdown è lasciata ai singoli governatori – in alcune parti del paese arriverà prima, in altre forse no, e questo ne diminuisce l’efficacia. In generale, dopo un periodo iniziale di smarrimento, sia la Cina sia l’Italia hanno mostrato un grado di allerta, efficienza e organizzazione che negli Stati Uniti non si vede da nessuna parte. Il paese ha i centri di eccellenza medica migliori del mondo, ma in una pandemia conta la risposta media e diffusa e quella non sta funzionando. Una settimana fa un’università norvegese ha chiesto ai propri studenti di tornare in patria a causa della pandemia e di lasciare “i paesi con infrastrutture pubbliche poco sviluppate come l’America” e non suona come un’esagerazione.

PUBBLICITÁ