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Ok fidarsi degli esperti, ma dei governi?

Paola Peduzzi

In guerra si deve ricostruire la fiducia pubblica. Un patto da emergenza

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Milano. Fidarsi degli esperti, fidarsi dell’informazione, fidarsi dei governi che stanno facendo il nostro bene: la guerra al coronavirus è un atto di fede continuo. Tom Nichols, autore di un libro famoso sulla fine della competenza (“The Death of Expertise”), scrive su Politico che questa pandemia sta ricostruendo “serietà” nel mondo: la competenza importa eccome, se ne sono accorti tutti, e su certe cose nessuno ha voglia di fare troppa ideologia. Ci si fida degli esperti. Sempre su Politico, che ha messo insieme trentaquattro autori per immaginare il nuovo mondo post coronavirus, Peter Coleman, docente della Columbia con un libro in uscita il prossimo anno su come sopravvivere al veleno della polarizzazione, dice: il nemico comune potrà invertire la tendenza alla divisione che grava sulle società occidentali da molti anni, i compagni di battaglia non si scordano più. Se a questi commenti si aggiungono i tanti racconti di solidarietà, il tessuto sociale che pareva strappato e invece non lo è, quelle comunità di cui abbiamo sempre sentito parlare che ora prendono le sembianze riconoscibili del figlio della vicina che fa la spesa per tutto il palazzo, viene da pensare che se l’atto di fiducia funziona per davvero, la normalizzazione ci restituirà un po’ di ordine globale. A patto che si resti all’erta, ché la fiducia si può costruire, ma anche tradire.

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Milano. Fidarsi degli esperti, fidarsi dell’informazione, fidarsi dei governi che stanno facendo il nostro bene: la guerra al coronavirus è un atto di fede continuo. Tom Nichols, autore di un libro famoso sulla fine della competenza (“The Death of Expertise”), scrive su Politico che questa pandemia sta ricostruendo “serietà” nel mondo: la competenza importa eccome, se ne sono accorti tutti, e su certe cose nessuno ha voglia di fare troppa ideologia. Ci si fida degli esperti. Sempre su Politico, che ha messo insieme trentaquattro autori per immaginare il nuovo mondo post coronavirus, Peter Coleman, docente della Columbia con un libro in uscita il prossimo anno su come sopravvivere al veleno della polarizzazione, dice: il nemico comune potrà invertire la tendenza alla divisione che grava sulle società occidentali da molti anni, i compagni di battaglia non si scordano più. Se a questi commenti si aggiungono i tanti racconti di solidarietà, il tessuto sociale che pareva strappato e invece non lo è, quelle comunità di cui abbiamo sempre sentito parlare che ora prendono le sembianze riconoscibili del figlio della vicina che fa la spesa per tutto il palazzo, viene da pensare che se l’atto di fiducia funziona per davvero, la normalizzazione ci restituirà un po’ di ordine globale. A patto che si resti all’erta, ché la fiducia si può costruire, ma anche tradire.

 

L’intellettuale israeliano Yuval Noah Harari ha scritto un minisaggio sul Financial Times per spiegare che la guerra passerà (e la vinceremo, “l’umanità sopravviverà, la maggior parte di noi resterà viva”), il mondo in cui abiteremo sarà molto diverso ma stiamo decidendo ora la sua forma, mentre siamo distratti e preoccupati dall’emergenza. Il tema è enorme, riguarda le guerre tutte, quanto siamo disposti a concedere della nostra libertà, della nostra privacy e soprattutto quanto ci fidiamo della capacità dello stato di prendersi cura delle nostre concessioni. “Per ottenere disciplina e cooperazione – scrive Harari – c’è bisogno di fiducia. Le persone devono fidarsi della scienza, devono fidarsi delle autorità, devono fidarsi dei media. Negli ultimi anni, politici irresponsabili hanno deliberatamente indebolito proprio la fiducia nella scienza, nelle autorità e nei media”. Questo è il motivo per cui ancora oggi, che pure l’evidenza della pandemia è sotto agli occhi di tutti, ci sono differenze di percezione della gravità della situazione, e la linea di demarcazione è politico-mediatica: l’America trumpiana e quell’altra, non trumpiana, per esempio, stanno vivendo un’esperienza diversa della pandemia. La costruzione della fiducia è appena cominciata, però a differenza di quanto è accaduto finora tutti lavorano nella stessa direzione (persino Fox News ha avuto un semirisveglio). “Ora questi stessi politici irresponsabili potrebbero avere la tentazione – dice Harari – di adottare misure autoritarie, sostenendo che non ci si può fidare del fatto che il popolo prenda la decisione giusta”. Questo è il confine tra la fiducia e il suo tradimento, il patto su cui si fonda il rapporto tra popoli e governi e che è andato deteriorandosi negli ultimi anni. La differenza tra democrazia e autoritarismo è qui, nella fiducia responsabile e reciproca: sembrava demolita, ora chissà.

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