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Grazie prof. Ferguson! Lo studio che ha imposto anche agli altri l’isolamento all’italiana

Paola Peduzzi

Il rapporto curato dal Covid-19 Response Team dell'Imperial College chiede ai governi che hanno preso misure restrittive di fare un passo successivo: organizzare questo "new normal"

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Milano. Il documento che ha cambiato la politica di lotta al coronavirus del Regno Unito, della Francia e degli Stati Uniti è stato redatto dal Center for epidemiological analysis and modelling of infectious diseases dell’Imperial College di Londra assieme alla London School of Hygiene and Tropical Medicine sulla base delle “notizie arrivate dall’Italia”, ha detto il ricercatore che ha la regia di questo studio, Neil Ferguson. Segniamoceli, questi nomi, assieme al nome di battaglia del team di scienziati – Covid-19 Response Team – e a quelli dei centri di ricerca coinvolti perché senza il loro modello d’analisi probabilmente le misure di contenimento sarebbero ancora deboli in molti paesi, saremmo ancora qui a parlar di immunità di gregge e a registrare lo spavento di inglesi, francesi e americani di fronte alla lentezza dei loro governi. Certo, una domanda resta: qualsiasi grafico pubblicato nelle ultime settimane evidenzia una linea del tempo chiara, con numeri esponenziali di contagio e progressivamente restrizioni alla circolazione – questo vale ovunque, e vale ancor più in Italia che è stato il primo paese in occidente a essere colpito dall’epidemia e che presenta caratteristiche sistemiche simili alle nazioni europee e all’America, quindi facilmente comparabili. Perché c’è stato bisogno di uno studio combinato di statistici ed epidemiologi per dare la spintarella nella giusta direzione? Non bastava guardare cosa hanno fatto gli italiani, o fidarsi un pochino di più della disciplina e della responsabilizzazione italiana?

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Milano. Il documento che ha cambiato la politica di lotta al coronavirus del Regno Unito, della Francia e degli Stati Uniti è stato redatto dal Center for epidemiological analysis and modelling of infectious diseases dell’Imperial College di Londra assieme alla London School of Hygiene and Tropical Medicine sulla base delle “notizie arrivate dall’Italia”, ha detto il ricercatore che ha la regia di questo studio, Neil Ferguson. Segniamoceli, questi nomi, assieme al nome di battaglia del team di scienziati – Covid-19 Response Team – e a quelli dei centri di ricerca coinvolti perché senza il loro modello d’analisi probabilmente le misure di contenimento sarebbero ancora deboli in molti paesi, saremmo ancora qui a parlar di immunità di gregge e a registrare lo spavento di inglesi, francesi e americani di fronte alla lentezza dei loro governi. Certo, una domanda resta: qualsiasi grafico pubblicato nelle ultime settimane evidenzia una linea del tempo chiara, con numeri esponenziali di contagio e progressivamente restrizioni alla circolazione – questo vale ovunque, e vale ancor più in Italia che è stato il primo paese in occidente a essere colpito dall’epidemia e che presenta caratteristiche sistemiche simili alle nazioni europee e all’America, quindi facilmente comparabili. Perché c’è stato bisogno di uno studio combinato di statistici ed epidemiologi per dare la spintarella nella giusta direzione? Non bastava guardare cosa hanno fatto gli italiani, o fidarsi un pochino di più della disciplina e della responsabilizzazione italiana?

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Cercheremo a lungo una risposta a questa domanda, ma intanto il documento dell’Imperial College è prezioso – ed è stato citato esplicitamente sia dal prof. Ferguson dopo la conferenza stampa di Boris Johnson (quella delle “misure draconiane” contro il virus), sia da Deborah Birx, la scienziata che ha parlato dopo la conferenza stampa di Donald Trump (quella del “whatever it takes”), sia dai consiglieri scientifici che hanno infine convinto Emmanuel Macron a imporre l’isolamento ai francesi (durante il discorso solenne del “siamo in guerra”). Il prof. Ferguson ha detto in un’intervista alla Cnn di aver mandato lo studio alla prof. Birx e ai francesi domenica, e ieri sono stati fatti passi ulteriori incrociando i dati raccolti anche negli Stati Uniti. Il coordinamento tra scienziati potrebbe essere salvifico perché esplicita l’importanza di adottare un isolamento rigoroso tutti insieme: un paese da solo non basta.

 

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Il Covid-19 Response Team dell’Imperial College ha analizzato la strategia della “attenuazione” adottata dal governo inglese e incrociando i dati con la situazione italiana – in particolare della Lombardia – è arrivato alla conclusione che in questo scenario ci sarebbero stati almeno 260.000 morti nel Regno Unito e 1,1/1,2 milioni di morti negli Stati Uniti – non soltanto per il coronavirus, ma per altre malattie che gli ospedali intasati non avrebbero avuto modo di trattare. Così il team di scienziati è passato a studiare lo scenario 2, quello della “soppressione”: la prof. Azra Ghani ha incrociato i dati della progressione del contagio con quelli del modello cinese di contenimento che è arrivato a fermare l’epidemia. A questo punto sono state confrontate le misure cinesi con quelle italiane, e il loro effetto: il Regno Unito, come gli altri paesi occidentali, non vogliono sigillare le porte dei condomini come hanno fatto i cinesi, vogliono stimolare il senso di responsabilità, come hanno fatto gli italiani. Nello scenario 2, le morti scendono a 20 mila (nel caso peggiore, nel migliore a poche migliaia), ma ovviamente i tempi si allungano. Il documento conclude: “La sfida più grande della ‘soppressione’ è che il pacchetto di intervento intensivo – o qualcosa di egualmente efficace nel ridurre la trasmissione – dovrà essere mantenuto fino a che il vaccino non sarà disponibile (18 mesi o più), visto che se gli interventi sono allentanti, ci può essere una ripresa del contagio”. Ci potranno essere temporanee ma controllatissime pause, dicono gli scienziati, ma ora ai governi che hanno realizzato quanto è decisivo l’isolamento toccherà anche fare un passo successivo: organizzare questo “new normal”.

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