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La “banalità” d’Israele

Giulio Meotti

Guerra? Elezioni? No, lo stato ebraico è angosciato dal traffico, mentre l’Iran è in ginocchio per il virus

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Roma. “La piaga di Tel Aviv? Il traffico”, sembrano dire gli israeliani facendo il verso allo “zio” di Johnny Stecchino a Palermo, mentre lo stato ebraico ieri tornava al voto per la terza volta in un anno e già si parlava di una quarta a settembre se non si trovasse una soluzione parlamentare alla contesa fra il Likud del premier Benjamin Netanyahu e il Blu e bianco dell’ex generale Benny Gantz.

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Roma. “La piaga di Tel Aviv? Il traffico”, sembrano dire gli israeliani facendo il verso allo “zio” di Johnny Stecchino a Palermo, mentre lo stato ebraico ieri tornava al voto per la terza volta in un anno e già si parlava di una quarta a settembre se non si trovasse una soluzione parlamentare alla contesa fra il Likud del premier Benjamin Netanyahu e il Blu e bianco dell’ex generale Benny Gantz.

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Il paese che tutti un tempo (e tanti ancora oggi) nella regione volevano eliminare, il paese senza capitale riconosciuta unanimemente, dai confini porosi e sorvegliato speciale dei media, delle corti e dell’opinione pubblica occidentale, è diventato così normale che i suoi problemi più gravi oggi derivano dal suo straordinario successo (la sua economia cresce a un ritmo annuo del 3,3 per cento). “Le sfide di Israele nascono dalla sua vitalità: il tasso di fertilità di 3,1 figli per donna è il più alto tra i paesi avanzati, contribuendo a una crescita della popolazione di oltre 200 mila persone all’anno”, fa notare il New York Times. Nell’ultimo anno c’è stato un venti per cento in più di immigrati, che si aggiunge a una crescita demografica interna senza precedenti per un paese sviluppato. Così Israele, più che dai confini e dal terrorismo endemico – problemi che ci sono e ci saranno sempre per una enclave ebraica fiorita letteralmente nel cuore del mondo islamico –, è angosciato per le sue strade, le più congestionate del mondo sviluppato, con molte più auto in circolazione di tutti i paesi europei. Anche le aule israeliane sono le più affollate, con una media di 28 studenti ciascuna, cinque in più rispetto alla media dei paesi dell’Ocse. Già oggi, Israele è il terzo paese sviluppato più densamente popolato dopo Olanda e Corea del sud, ma nel 2035 Israele sarà il numero uno. La popolazione israeliana sta crescendo così rapidamente – il due per cento all’anno contro una media di appena lo 0,5 per i paesi Ocse – che se la tendenza non cambierà “entro il 2065 sarà il paese più affollato dopo il Bangladesh”, dice Dan Ben-David dell’Università di Tel Aviv. E’ come se nascesse una nuova città ogni anno. Rachelle Alterman del Technion di Haifa prevede che se la popolazione raggiungerà i 18 milioni entro il 2050, gli israeliani dovranno vivere in torri di appartamenti, modello Singapore e Hong Kong, che però hanno famiglie molto piccole. Cinquant’anni fa, quando Israele era ancora un paese ultrainflazionato e semi socialista, c’erano 3,3 letti d’ospedale per ogni mille abitanti. Oggi sono 1,7. Eppure, è notizia di ieri che lo Sheba Medical Center, vicino a Tel Aviv, è stato scelto come il “nono miglior ospedale del mondo” da Newsweek, che stila ogni anno la classifica.

  

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Di due giorni fa è la notizia che il Migal Galilee Research Institute, finanziato dallo stato israeliano, sta già lavorando a un vaccino per il coronavirus. “Vogliamo produrlo in otto-dieci settimane”, ha detto il ceo di Migal, David Zigdon. La ricerca scientifica galoppa a un ritmo impressionante. Saul Singer, l’autore di “Start-up Nation”, ha spiegato che “se si considerano i 25 principali farmaci sviluppati negli ultimi dieci anni, sette sono stati parzialmente prodotti presso il Weizmann”, un famoso istituto di ricerca israeliano. “Non esiste altra istituzione al mondo che possa dire altrettanto”, osservando che Harvard ne ha sviluppati solo due e con un budget molto più ampio. “E l’Università di Tel Aviv si è classificata undicesima in termini di citazioni per membro di facoltà, sopra Oxford, Cambridge e Yale”.

   

Intanto la Repubblica islamica dell’Iran, l’unico nemico di Israele con le capacità militari e la volontà politica per impensierire Gerusalemme, sta implodendo a causa del coronavirus. Mentre il presidente iraniano Hassan Rohani diceva che il virus è un “complotto dei nostri nemici”, un membro del Consiglio della guida suprema Ali Khamenei moriva in ospedale, ucciso dal virus. Si tratta di Mohammad Mirmohammadi, l’ottavo alto ufficiale del regime ad ammalarsi e il terzo a perdere la vita (nel paese ci sarebbero già più di duecento morti). “Israele sarà diventato un paese normale quando ladri e prostitute faranno i loro affari in ebraico”, diceva David Ben Gurion. E’ la straordinaria normalità di Israele. Se soltanto non ci fosse tutto quel traffico sull’autostrada Ayalon.

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