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Chi arriva secondo in Nevada?

Luciana Grosso

Al caucus di oggi Sanders è dato per vittorioso. Sul secondo posto invece c’è molto da discutere, e da capire

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Fra poche ore si vota in Nevada e vi diamo uno spoiler: vincerà Bernie Sanders: i sondaggi lo danno al 30% e, comunque, l’aria che tira è tutta in suo favore.
  
Assodato questo, possiamo occuparci del vero punto cruciale dei coucus di domani notte in Nevada, ossia chi arriverà secondo.
  
Sì, perché e dal quel secondo posto che si potrà capire chi davvero è ancora in corsa e chi, invece, dovrà guardare in faccia la realtà e rassegnarsi al ritiro.
  


 
I candidati in corsa per la medeglia d’argento sono sostanzialmente tre: Joe Biden, Elisabeth Warren e Pete Buttigieg. Per tutti loro, soprattutto per Biden e Warren, il Nevada sarà la prova della verità.
  
Partiamo da Biden: partito come strafavorito, l’ex vice di Obama è andato malissimo sia in Iowa che in New Hampshire. Ora qui potrebbe/dovrebbe andare meglio, spinto soprattutto dalla presenza (finalmente per lui) del voto latino e afroamericano. Da settimane, infatti, lo staff di Biden va ripetendo che il voto eminentemente bianco dei primi due stati ha penalizzato il loro candidatoe che, per di più, l’esito di due stati al 90% bianchi non vale nemmeno per intero, visto che non sono socialmente rappresentativi della complessa realtà razziale e sociale degli Stati Uniti.
  
Probabilmente non è vero e, probabilmente, la penuria dei risultati raccolti da Biden ha a che fare più con la debolezza intrinseca del candidato, che con l’assenza dell’elettorato afroamericano (nel già bianchissimo Iowa, nel 2008, Obama vinse contro la corazzata di Hillary).
 
Scopriremo domani notte se le difficoltà di Biden hanno a che fare con il candidato o con gli elettori.
 
Così come scopriremo domani che sarà della candidatura di Elisabeth Warren. La senatrice del Massachusetts, popolarissima sia nella la frangia di sinistra del partito sia in quella centrista, che la reputa più potabile di Bernie Sanders, è stata la superstar del dibattito televisivo dell’altra notte: lucida, ficcante, spiritosa, efficace. Non solo ha fatto a pezzi in pochi minuti, a suon di logica, oratoria, femminismo e buon senso, la candidatura di Mike Bloomberg, ma è soprattutto riuscita a dare nuovo vigore ad una tornata di primarie che sembrava finita sul binario morto della scelta tra la popolarità divisiva di Sanders e i miliardi di Bloomberg. Invece no. Warren ha dimostrato  che una terza via è possibile, che un candidato meno divisivo e indigesto a questa o quella parte del partito è possibile, e che una candidatura unitaria ed efficace potrebbe ancora essere sul piatto. Non solo. Ma l’efficacia in TV di Warren le ha permesso di raccogliere in poche ore un’infinità di soldi (2,8 milioni in poche ore) dando nuovo slancio a una campagna considerata finita e, ormai, praticamente esangue dal punto di vista dei fondi. Se Warren, che ha ricominciato a salire nei sondaggi post dibattito, arrivasse seconda, questo le consentirebbe di entrare, finalmente, in corsa e riaprire di fatto i giochi.
  

  
E Buttigieg? Buttigieg è qui alla prova della verità. Mentre in Iowa era un completo outsider (era dato quarto, invece arrivò primo) e in New Hampshire (dove si è piazzato secondo a meno di due punti da Sanders) ha potuto godere della spinta della vittoria a sorpresa in Iowa, in Nevada arriva con armi spuntate. Non è più un outsider e non è più un candidato di unità, perché contro la sua candidatura si sono concentrati i fendenti dell’efficace campagna di Sanders (per i suoi sostenitori lui è terribile Wall Street Pete) che lo dipinge come il male in Terra. Se riuscirà a attirare su di sé i voti centristi di Biden (e in parte anche da Amy Klobuchar) e a risultare un po’ meno indigesto all’elettorato afroamericano, allora resterà in corsa, se invece andrà male in Nevada, la sua bolla correrà il serio rischio di sgonfiarsi e di essere relegata al rango di moda passeggera.
  
Il punto non sarà chi vince, ma chi perde meglio.
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