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La linea di difesa dei trumpiani

Paola Peduzzi

Il mondo trumpiano si sta allineando per evitare che l’opinione pubblica si metta di traverso al presidente

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Milano. La Casa Bianca ha due linee di difesa sull’impeachment. La prima fa capo al chief of staff, Mick Mulvaney, e dice: non si collabora, non si asseconda nessuna richiesta, i democratici sono il nemico, e a loro si dice soltanto di no. La seconda fa capo al legale della Casa Bianca, Pat Cipollone, ed è più cauta: fornire i documenti, rifiutare le richieste considerate ostili dipingendole come un accanimento, decidere di volta in volta cosa concedere e cosa no e soprattutto mantenere un posto d’onore per lo stesso Cipollone, che vuole guidare i controinterrogatori alla Camera. I giornali raccontano i continui scontri tra le due fazioni – la Casa Bianca smentisce: è tutto a posto qui dentro, dice – ma intanto è uscito il memo di 18 pagine con la linea di difesa dei deputati e senatori repubblicani: le parole chiave sono “stato mentale” del presidente e “contesto” della telefonata di mezz’estate con l’Ucraina, e la conclusione sostiene che “le prove raccolte non indicano che ci sia stata un’offesa tale da determinare un impeachment”.

 

Poiché i fatti sono stati chiariti in modo circostanziato nelle settimane di testimonianze a porte chiuse di cui ora sono disponibili le trascrizioni, la difesa di Trump prevede che questi fatti non vengano considerati e che piuttosto si ripetano quattro frasi: la sintesi della telefonata del 25 luglio a Zelensky non indica alcun condizionamento o pressione esplicita; Zelensky e Trump hanno detto che non ci sono state pressioni; al tempo della telefonata, il governo ucraino non sapeva nulla del congelamento degli aiuti militari; Trump ha incontrato Zelensky a settembre e sempre a settembre l’aiuto militare è stato sbloccato, senza che l’Ucraina abbia presentato alcuna inchiesta sui rivali politici del presidente americano.

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C’è poi la linea di difesa sulle tv e sui social, la prima definita da Fox News e la seconda in gran parte dallo stesso Trump: la percentuale di tweet dedicati all’impeachment è molto alta. Le due coordinate sono: “Leggete i transcript”, sono “perfetti”, come ripete il presidente che ieri ha detto che in settimana renderà pubblica la trascrizione della “prima e quindi più importante” telefonata con il presidente ucraino (due telefonate invece che una: la confusione è assicurata); dov’è, chi è il whistleblower, l’informatore, “che ha riferito tante informazioni false?”; il presidente non ha diritto a un giusto processo durante “le audizioni fake”, come le chiama Trump, delle prossime settimane gestite dai “never Trumpers”, gli odiatori della prima ora.

 

Il mondo trumpiano si sta allineando per evitare che l’opinione pubblica si metta di traverso al presidente. Come si sa, se cambia la percezione del pubblico potrebbe cambiare anche la posizione dei deputati e senatori repubblicani, soprattutto di questi ultimi che avranno la parola decisiva sull’impeachment. Trump deve badare alla tenuta della compagine dei repubblicani al Senato che è anche quella che definirà le regole del voto. Ogni dettaglio è importante: se per esempio il voto fosse segreto – bastano tre senatori repubblicani per determinarlo, vista la maggioranza risicata al Senato – il tradimento sarebbe più facile: al buio, tutto può succedere.

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