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Cosa c'è di male nell'accordo con Erdogan sui migranti?

Paola Peduzzi

Le alternative che non c’erano e la leva che c’è oggi. Ragioni per credere che il patto siglato con la Turchia nel 2016 non sia così scellerato

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Milano. L’Europa non ha trovato un accordo sull’embargo delle armi alla Turchia né su altre soluzioni di contenimento nei confronti di un paese con cui non soltanto ha ancora – formalmente – aperta la procedura di adesione ma con cui condivide anche un’alleanza militare (la Nato: riguarda 22 dei 28 paesi che fanno parte dell’Ue) e un accordo sulle migrazioni. Secondo i dati dell’Unione europea aggiornati al 2017, i paesi membri hanno contratti di vendita di armi per un valore pari a 2,8 miliardi di euro (il principale fornitore è la Spagna con quasi un miliardo di commesse in strumentazioni per aerei, l’Italia ha venduto piccole armi e munizioni per 266 milioni di euro), che sono considerati “uno scherzo” dal governo di Ankara che sostiene di avere armi e budget a disposizione per continuare a lungo la guerra. La politica è fatta anche di azioni simboliche, un’azione comune avrebbe potuto far sentire la pressione europea, ma gli strumenti a disposizione dell’Ue spesso hanno più a che fare con il soft power che con le commesse (non astronomiche) militari. E’ così che si arriva al vituperato patto sui rifugiati del 2016, che oggi viene indicato come il punto debole di tutta la politica estera europea nei confronti della Turchia.

 

Qualche dettaglio su come nacque quell’accordo. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, lo perorò e chiese che fossero stanziati 6 miliardi di euro e non il miliardo di euro che altri paesi erano disposti a concedere. In cambio ci fu la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi e la promessa di riaprire il negoziato per l’adesione della Turchia all’Ue (cosa che non è avvenuta). A differenza di quel che si dice oggi, quell’accordo non era stato pensato per difendere l’interesse tedesco, visto che nella primavera del 2016 la Germania aveva già accolto almeno un milione di rifugiati.

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La Germania è stato l’unico paese dell’Ue a essere tanto accogliente – le conseguenze politiche le conosciamo bene: la questione migratoria ha monopolizzato l’offerta politica della destra estrema, pure quando – grazie anche all’accordo con la Turchia – il flusso migratorio non era più un’emergenza. Il patto con la Turchia era stato proposto a difesa dei paesi dell’est e della Grecia. La Grecia non era in grado di gestire il flusso in arrivo dalla Siria (ancora oggi è in grande difficoltà), mentre la cosiddetta rotta balcanica era stata interrotta dai paesi dell’est Europa che avevano iniziato a ergere barriere per evitare il passaggio dei rifugiati e a ricacciare indietro chi arrivava con metodi costantemente denunciati dalle associazioni umanitarie (ci sono ancora inchieste in corso sul trattamento dei migranti alle frontiere europee, in particolare in Ungheria). La modifica del Trattato di Dublino è tuttora in attesa di essere considerata, e non è la Germania che vi si oppone. L’accordo funzionò, e non impedì all’Europa, né tantomeno alla Germania, di reagire alle intemperanze turche, non ultime quelle sulle trivellazioni petrolifere a Cipro. Anzi, proprio qualche giorno prima della decisione di Donald Trump di dare il via libera al governo turco di entrare in Siria, l’Europa si era opposta alla medesima richiesta di Erdogan che chiedeva di creare la “safe zone” per i rifugiati in territorio siriano. E sì che per l’Europa il problema è ben più urgente: a settembre gli arrivi in Grecia da Siria e Afghanistan – due paesi in cui il vuoto strategico e fisico americano è tangibile – hanno toccato il picco (10 mila) dal 2016. Sempre un tedesco, il ministro dell’Interno Horst Seehofer, che ha cambiato molto il suo approccio all’immigrazione, è andato in visita in Turchia il 4 ottobre e ha acconsentito allo sblocco dell’ultima parte dei 6 miliardi di euro stanziati nel 2016 (questi fondi sono stati controllati con grande attenzione dall’Ue: non sono a pioggia) ma ha detto al governo turco che l’Europa si sarebbe opposta all’operazione militare turca in Siria. Erdogan aveva già minacciato di “aprire i cancelli” e di riversare 3,6 milioni di rifugiati in Europa, così come ha ripetuto nei giorni scorsi (e Trump dice: pazienza, tanto vanno in Europa). L’aumento del flusso nel mare Egeo dimostra che i cancelli sono già stati aperti, ma i siriani che vivono in Turchia sanno come sono le condizioni nei campi delle isole greche, sanno che la procedura di accesso è lunghissima e non hanno un grande incentivo a partire. Molti esperti dicono che le minacce di Erdogan sono più deboli delle debolezze dell’Europa: il 50 per cento del commercio turco è con il mercato europeo, ed è questa la leva più rilevante – se si trova la volontà politica – del contenimento turco.

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