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Quel che Elisabetta non dice quando tratta con i suoi premier (Boris compreso)

Richard Newbury

Da Churchill all'ex sindaco di Londra, nei colloqui con i quattordici primi ministri avuti durante il suo regno, la Regina si è sempre distinta come un buon giudice di carattere, insensibile alla classe

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Molto è accaduto alla Regina Elisabetta II e al suo regno da quando è nata durante lo sciopero generale del 1926, figlia dell’aristocratica ma non regale Lady Elizabeth Bowes Lyons, e del principe Giorgio, secondo nella linea di successione al trono, che allora faceva l’ispettore nelle fabbriche. Soltanto dieci anni dopo, nel 1936, nell’anno dei Tre Re, il suo timido e ingenuo padre fu catapultato sul trono imperiale per regnare su un quarto del mondo ed Elisabetta si trasferì dalla casa a Picadilly a Buckingham Palace. Nel 1939 scoppiò la guerra ed Elisabetta fu arruolata come autista nell’esercito delle donne, altrimenti detto Ats. Il 9 per cento della popolazione era in uniforme mentre il 25 per cento lavorava nelle industrie belliche, nel paese più militarizzato della Seconda guerra mondiale. Alle elezioni generali del 1945, che si svolsero mentre continuava la guerra in Asia contro il Giappone, la parte laburista del governo di coalizione di Churchill, sotto il vicepremier Attlee, vinse un voto all’unanimità per introdurre lo stato sociale già progettato prima della vittoria della guerra. Nel 1947 l’India, che aveva fornito 2,5 milioni di truppe volontarie, ottenne l’indipendenza, e si divise in India e Pakistan. Anche le placche tettoniche del Regno Unito si stavano spostando con la nazionalizzazione del Labour delle “leve fondamentali dell’economia”. Il razionamento di cibo e vestiti continuò fino al 1954. Tuttavia Churchill ottenne una maggioranza solo conservatrice nel 1952 durante la guerra di Corea e fu quindi il suo primo premier quando la principessa Elisabetta seppe che era diventata Regina, mentre era in cima a un albero in Kenya immersa nel suo tour imperiale. L’ultima volta che un re era stato proclamato mentre era oltreoceano accadde a Giorgio I nel 1714.

 

Come fece Elisabetta quando aveva undici anni anche noi oggi impariamo dal libro del 1867 “English Constitution” di Walter Bagehot, direttore dell’Economist e parlamentare liberale, che “la regina deve firmare la propria condanna a morte se le due camere la inviano a lei” e che “il sovrano, in una monarchia costituzionale come la nostra, ha tre diritti: il diritto di essere consultato, il diritto a incoraggiare e quello di mettere in guardia”. Già allora secondo Bagehot l’Inghilterra era “una repubblica mascherata”. Al di là del fatto di aver conosciuto personalmente quasi ogni capo di stato in giro per il mondo dal 1952 a oggi, la Regina tiene incontri settimanali strettamente confidenziali a due con il suo primo ministro di turno e incontra tutti i suoi ambasciatori e i gradi più alti delle sue forze armate. Passa ore, sette giorni alla settimana, a leggere tutti i documenti anche nelle Red Box del primo ministro ed è il lettore numero uno di tutti i telegrammi segreti dal ministero degli Esteri e dall’M16. I suoi incontri settimanali delle 7 del pomeriggio con i primi ministri sono un interrogatorio molto arguto sui progetti e i dettagli sui progressi ma sono anche un’opportunità unica per i primi ministri di essere schietti riguardo ai loro dilemmi e piani, specialmente riguardo ai loro colleghi/rivali di governo. Lei è imperturbabile, perché ha già sentito tutto in passato con i suoi ormai quattordici primi ministri e non riferisce mai cosa le viene confidato. Infatti non sapremo mai le sue opinioni su Suez. E’ un buon giudice di carattere ed è insensibile alla classe. Dopotutto sia un duca sia uno spazzino sono semplicemente “non reali”.

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Sono trascorsi 68 anni dal 1952, quando Elisabetta II ha iniziato il suo tête-à-tête settimanale con Churchill, il più grande dei suoi “Elephant PMs”, coloro che hanno combattuto nella Prima guerra mondiale e, nel caso di Churchill, prima in Sudan, in Afghanistan e nella guerra boera. Anthony Eden, Harold Macmillan e Alec Douglas-Home avevano tutti combattuto nella Prima guerra mondiale, tutti erano vittoriani. Andare indietro di sessantotto anni dal 1952 ci porta al 1884, a Gladstone e Disraeli e ai loro incontri settimanali con la regina imperatrice Vittoria. Oggi è Boris Johnson che compete con loro, lui e tutta la sua straordinaria vita privata.

 

Dopo gli Elefanti sono venuti gli Innovatori del secondo dopoguerra: Edward Heath, il conservatore con una strategia industriale di pianificazione centrale, poi di nuovo il Labour con Harold Wilson, il favorito della Regina, e il suo “calor bianco della tecnologia”. Poi James Callaghan (Labour), con un’alleanza con i sindacati, Margareth Thatcher che ha negato al paese la sua abituale flebo di sostegno statale e ha deregolamentato la City, e poi John Major, che fallì nel suo progetto oltremodo ambizioso di bloccare il Meccanismo europeo di cambio (Erm), che avrebbe dovuto essere una calamità ma ironicamente si rivelò la salvezza del paese.

Oggi siamo nell’epoca dei disruptor. Tony Blair ha abbandonato le politiche tradizionali del Labour in favore della Cool Britannia e ha rubato i vestiti ai conservatori mentre erano distratti – ha rubato anche il loro boom economico post crisi – mentre Gordon Brown è stato preso in agguato dal Grande Crollo del 2008, ma ha giocato un ruolo internazionale di primo livello nel tentativo di curare le ferite. David Cameron e Nick Clegg hanno gestito la necessaria austerity che è seguita, mentre Cameron ha vinto da solo nel 2015 con la promessa di un referendum sull’Unione europea, e dopo la sua puntuale sconfitta ha abbandonato la nave, mentre Theresa May, una remainer, ha cercato di ottenere una Brexit light per tre anni. Ora Boris Johnson fa il duro con l’Unione europea e i Comuni, che votano remain al 70 per cento. Su tutti loro c’è stata la Regina, che ormai ha visto tutte le bizzarrie altalenanti della politica più e più volte – e non si sbottona. L’incurante creazione da parte del governo Blair di una moderna “Corte suprema” nel 2009 ha da poco arrogato a sé il diritto non soltanto di obliterare un Atto del Parlamento, ma anche di abolire la Prerogativa –  la riserva di potere della Corona – esercitata per secoli dal governo di Sua Maestà ai Comuni. In questo 2019 la Corte suprema ha emesso una sentenza rivoluzionaria che ha superato l’Act of Rights concepito nel 1690 dal filosofo politico John Locke a causa del “4 Year Fixed Term Act” voluto da Cameron e dai conservatori, da Clegg e dai liberaldemocratici. Stanno imparando da Bruxelles!

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La Costituzione non scritta è un work in progress e gli inglesi sono estremamente bravi nell’“inventare tradizioni” e nell’“ambiguità creativa”. In fondo è ciò che hanno fatto dai tempi dei Witan (Parlamenti) di Alfredo il Grande, che scrisse in inglese il primo libro delle leggi, le quali erano fatte rispettare dal popolo stesso.

 

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Quindi, ricapitolando:

 

a. I primi ministri Elefanti di Sua Maestà

Winston Churchill 1951-1955

Anthony Eden 1955-1967

Harold Macmillan 1957-1963

Alec Douglas-Home 1963-1964

 

b. Gli Innovatori

Edward Heath 1970-1974

Harold Wilson 1974-1976

James Callaghan 1976-1979

Mrs Margaret Thatcher 1979-1990

John Major 1990-1997

 

c. I radicali e impensati Disruptor

Tony Blair 1997-2007

Gordon Brown 2007-2010

David Cameron 2010-2016

Teresa May 2016-2019

 

d. Il nazionalista cosmopolita e multietnico

 

Boris, ritorno al futuro. Parco con la verità come era Disraeli. Giovane inglese. Un reinventore di nuove alleanze sociali. E’ stato così che lui, un conservatore, ha ottenuto due volte la carica di sindaco nella Londra a maggioranza laburista!

E poi l’incognita: Boris Johnson 2019, e chissà fino a quando.

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