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Exit poll in Olanda: laburisti e conservatori in testa, populisti molto indietro

David Carretta

Europeismo nordico. Le fortune europee di Rutte sono state rilanciate dalla Brexit e il dialogo con Macron ha alcune convergenze

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Bruxelles. L’Olanda ha inflitto un primo schiaffo ai nazional-populisti che vorrebbero la fine dell’Unione europea. Il Forum per la democrazia di Thierry Baudet, che ha preso il posto di Geert Wilders come leader dell’estrema destra anti islam e anti Ue, era il favorito della vigilia e invece si ritrova dietro a laburisti, liberali e cristianodemocratici, secondo gli exit poll pubblicati ieri nel primo stato membro che ha votato per le elezioni europee. Per il fronte europeista è un successo inatteso, favorito dalla candidatura del laburista Frans Timmermans a presidente della Commissione e dalla capacità del premier liberale Mark Rutte di reggere il confronto con i populisti. Il panorama politico dei Paesi Bassi è talmente frammentato che nessuno è in grado di superare il 20 per cento. Una decina di partiti dovrebbero inviare deputati all’Europarlamento. I laburisti avrebbero ottenuto il 18 per cento, il Vvd di Rutte il 15, i cristianodemocratici il 13. Il Forum per la democrazia di Baudet è solo quarto, mentre Wilders è affondato al 4. Il fronte europeista regge, e l’onda nazional-populista secondo queste prime indicazioni si è ritratta. Rutte può perfino rivendicare un rafforzamento del suo Pvv, che cinque anni fa si era fermato al 12 per cento.

  

Rutte aspira a essere uno dei protagonisti della prossima legislatura europea, e vuole portare l’Olanda a battersi in una categoria politica ben superiore al suo peso demografico ed economico. Lo ha già dimostrato in passato, mettendosi di traverso ad alcune delle iniziative europee di Emmanuel Macron (il bilancio per la zona euro) ma anche scegliendo di sostenere il presidente francese su altri temi chiave (come il cambiamento climatico e l’immigrazione). Al contempo, complice la Brexit, Rutte aspira a trasformare il suo paese in quello che una volta era il Regno Unito: per l’Europa il campione del liberalismo e il freno alle ambizioni troppo federaliste.

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Le fortune europee di Rutte, che ricopre l’incarico di primo ministro dal 2010 anche se alla guida di coalizioni di colore diverso, sono state rilanciate dalla vittoria alle elezioni politiche del marzo 2017. Dopo la Brexit e l’elezione di Trump, dopo una serie di successi di Alternativa per la Germania in vari Land tedeschi, l’ondata populista sembrava doversi riversare sull’Olanda per poi travolgere la Francia. Il primo posto del Pvv di Rutte suonò invece la riscossa europeista, che si concretizzò un mese più tardi con la netta vittoria di Emmanuel Macron su Marine Le Pen alle presidenziali. Il premier olandese ha approfittato di questi due anni per rafforzare la statura del suo paese nell’Ue: alcuni vedrebbero bene Rutte come presidente del Consiglio europeo.

 

L’interlocuzione con Macron a volte è difficile, ma non si è mai interrotta. Anzi, su alcuni temi i due sono riusciti a formare un asse progressista. L’Olanda sostiene la Francia sull’idea di una mini-Schengen per escludere dalla zona di libera circolazione senza frontiere chi rifiuta di accogliere i rifugiati (l’est) e chi non blocca i movimenti secondari (Italia e Grecia). Rutte ha firmato l’impegno macroniano di zero emissioni nel 2050. Sulla zona euro, invece, il premier dell’Aia ha saputo conquistarsi la fiducia di Angela Merkel. L’Olanda ha creato la Nuova lega anseatica, un gruppo con Irlanda, Danimarca, Svezia, Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania, che all’Eurogruppo si oppone a un bilancio per la zona euro troppo generoso con i creditori del sud e alla possibilità per la Commissione di interpretare le regole in modo troppo flessibile. Per la Germania non c’è bisogno di esporsi quando è l’Olanda a fare da freno.

 

La Brexit ha aiutato Rutte, permettendogli di fare da ponte con Theresa May nelle trattative, ma anche di occupare il terreno politico lasciato libero da Londra. Senza il Regno Unito, l’Ue ha perso il contrappeso alle tendenze stataliste e dirigiste di Francia e Germania. L’Olanda si è messa alla testa di altri gruppi di paesi che difendono la linea liberale su mercato interno e commercio e che spesso guardano con sospetto alla Commissione. Ma il travestimento da “Perfida Albione” comporta un rischio: Rutte non è immune dal giocare con il fuoco del discorso anti Ue. Le sue critiche alla burocrazia europea sono costanti. Nel 2017 vinse con un approccio molto duro sull’immigrazione. Nel dibattito con Baudet alla vigilia delle europee ha detto che “Italia e Grecia non sarebbero mai dovute entrare nell’euro”. Come nel Regno Unito, a forza di soffiare, anche in Olanda la scintilla antieuropea può trasformarsi in un incendio.

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