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Il golpe in Sudan

Enrico Cicchetti

Veicoli militari hanno circondato il palazzo presidenziale. L'esercito e la piazza contro il presidente Omar al Bashir, al potere da trent'anni. Tutto quello che c'è da sapere

[Articolo aggiornato alle 13:50] C'è un senso di crescente attesa a Khartum, la capitale del Sudan, dove una quarantina di veicoli militari hanno circondato il palazzo presidenziale, in quello che per diversi media africani e internazionali è un colpo di stato in atto. Secondo al Arabyia il presidente Omar al Bashir sarebbe pronto a dimettersi. Secondo fonti della testata sarebbe stata annunciata la formazione di un consiglio ad interim guidato dal primo vice presidente Awad Ibn Auf. Tuttavia altre fonti non hanno confermato e anzi dicono che è ancora in corso un incontro tra i massimi vertici militari e di sicurezza del paese per discutere chi guiderà un nuovo Consiglio transitorio delle forze armate.

 

  

Su strade e ponti chiave della città sono stati dispiegati veicoli militari e in strada si canta ”È caduto, abbiamo vinto”, riferisce Reuters e aggiunge che i manifestanti hanno attaccato le sedi del Servizio nazionale di sicurezza e intelligence (Niss) del Sudan nelle città orientali di Port Sudan e Kassala. Il Niss oggi ha annunciato il rilascio di tutti i prigionieri politici del paese. I militari sono entrati all'alba di giovedì 11 aprile nella sede dell'emittente radiotelevisiva di stato, al sesto giorno di un sit-in di protesta davanti al loro quartier generale, e hanno fatto sapere che “presto” ci sarà un “importante annuncio a reti unificate”. Al momento l’emittente trasmette no stop musiche militari. I manifestanti chiedono le dimissioni del presidente Bashir, salito al potere nel 1989 con un colpo di stato militare e che governa il paese da 30 anni in modo autoritario. Gli organizzatori della protesta hanno esortato tutti gli abitanti di Khartum ad accorrere in massa davanti al quartier generale dell'esercito: “Chiediamo al nostro popolo di tutta la capitale e della regione circostante di recarsi immediatamente nell'area del sit-in e di non andarsene da lì fino alla nostra prossima comunicazione”, ha detto l'Associazione dei professionisti sudanesi la Sudan Professionist Association, fondata 7 anni fa da circa 200 docenti universitari a sostegno di imprenditori e professionisti. Da due notti i manifestanti sono attaccati da forze dell'intelligence sudanesi e milizie fedeli a Bashir, che controlla ancora il ministero dell'Interno, ma in entrambe le occasioni l'esercito è intervenuto per proteggere i civili: un segno chiaro della frattura in atto all'interno delle forze militari del paese, prima coese.

  

Yousra Elbagir, un'importante giornalista sudanese, ha spiegato via Twiter che ci sono report secondo cui alti funzionari governativi sono stati arrestati e l'aeroporto è stato chiuso. La notizia è confermata anche da al Arabyia.

  

 

Sarebbe stata cancellata la manifestazione a sostegno del presidente in programma a Khartum per oggi. L'annuncio di un'imminente dichiarazione dell'esercito, arrivato attraverso la radio e la televisione statali, ha intanto alimentato
voci di un possibile golpe contro al Bashir.

   

Le cause della rivolta

A innescare la protesta in Sudan, paese prevalentemente arabo e musulmano di 40 milioni di abitanti, è stato l’aumento del prezzo del pane. L’insofferenza era montata a dicembre, quando erano state introdotte misure di austerità che toglievano sussidi e facevano aumentare i prezzi, in particolare dei beni di prima necessità. Gli slogan che da oltre una settimana sono scanditi da manifestanti in diverse città del Sudan sono però diretti contro i quasi trent’anni di regime del presidente Omar al Bashir, il suo regime, la sua politica. Se, come accaduto anche per le rivolte arabe del 2011, a innescare il dissenso è stata la difficile situazione economica – un’inflazione che a novembre ha toccato il 70 per cento, mancanza di carburante, una crisi di liquidità che causa lunghe file ai distributori automatici – l’obiettivo della protesta è molto politico. Le sigle sindacali, sostenute da gruppi politici tradizionali come il partito Unionista Democratico e il partito Umma, hanno fatto circolare una petizione che chiede le dimissioni del presidente Bashir e la creazione di un governo di tecnocrati capace di portare il paese fuori dalla crisi economica. La leadership ha promesso lunedì “riforme” per “garantire ai cittadini una vita dignitosa”, ma il governo non convince a causa di decenni di corruzione e cattiva gestione delle risorse.

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Il ruolo delle donne

Le donne, che sono secondo la Bbc la forza trainante di questa protesta, salgono sul tetto delle auto e parlano, cantano, danno il ritmo alla ribellione: l’immagine e il video di una di loro ha fatto il giro del mondo, questa ragazza ha un sorriso enorme, la tunica bianca che è la divisa da lavoro e la stessa divisa che le mamme e le nonne indossavano nelle rivolte degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, e gli orecchini con la luna che brillano.

 

 

Le chiamano “kandaka” dal nome delle regine della Nubia che hanno nella storia del Sudan il ruolo delle condottiere eroiche, che combattevano per il loro paese e per i loro diritti. Alcune non amano l’appellativo, non siamo regine, siamo come tutti gli altri e le altre dicono, ma altre sono fiere, dicono “kandaka” e battono le mani, perché queste donne sono così, resistono e cantano, distribuiscono acqua e coraggio, in una società in cui solitamente sono tenute nascoste (e al 90 per cento subiscono l’infibulazione). 

 

 

La ragazza diventata icona della protesta si chiama Alaa Salah, ha 22 anni, è studentessa in ingegneria. “Ho ricevuto minacce di morte dopo che la mia foto e il video sono diventati virali”, scrive su Twitter. “Non mi piegherò. La mia voce non può essere soppressa. Bashir è responsabile se mi succede qualcosa”.

 

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