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La Noc è l’unico bilanciamento in Libia, e ora è sotto attacco

Rolla Scolari

Nessuno ha rivendicato il raid ma lo Stato islamico è tra i maggiori indiziati. Moavero a Bengasi per convocare una conferenza in Italia con Haftar

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Milano. Uomini armati di fucili automatici e bombe a mano hanno preso d’assalto ieri a Tripoli la sede della compagnia petrolifera nazionale (Noc), istituzione da cui dipende l’ economia del paese. La Noc è una realtà fondamentale per la Libia, divisa politicamente e geograficamente e scossa da violenze come quelle tra milizie rivali che nei giorni passati hanno provocato oltre 60 morti nella capitale. L’azienda petrolifera è assieme alla Banca centrale l’unica istituzione che in anni di conflitti è riuscita a funzionare. Dal 2014, la Libia è spaccata tra un governo riconosciuto dall’Onu, quello di Fayez al Serraj a Tripoli, e uno rivale, a est, che fa capo al generale Khalifa Haftar.

 

Benché ciclicamente gruppi armati prendano di mira le installazioni petrolifere, bloccando produzione ed esportazione e ricattando le autorità con le loro richieste, a febbraio i vertici della Noc hanno annunciato un record di produzione: 1,3 milioni di barili di greggio al giorno. Prima della rivoluzione del 2011 e del conseguente conflitto armato, la Libia produceva 1,6 milioni di barili al giorno. Nel 2016 era scesa a 400 mila. In un paese diviso, la capacità della Noc di agire su gran parte del territorio resta sorprendente. I risultati degli ultimi anni sono stati attribuiti all’abilità del suo presidente, Mustafa Sanallah, un tecnocrate che ha dimostrato qualità di diplomatico e capace di trovare compromessi con comunità, clan e milizie locali.

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Oggi come in passato, spiega al Foglio Claudia Gazzini, analista dell’International Crisis Group, le rendite petrolifere rappresentano oltre il 90 per cento delle entrate di Tripoli. Non è però la Noc ad amministrare il denaro ricavato dalle sue attività: “La compagnia gestisce joint venture con partner stranieri e le acquisizioni di prodotti raffinati per uso interno. I soldi di queste transazioni vanno alla Libyan Foreign Bank e sono trasferiti alla Banca centrale”. E’ la Banca centrale – le cui riserve sono custodite anche in istituti di credito stranieri – che poi con quel denaro acquista benzina e diesel per uso interno.

 

Gli stipendi dei dipendenti della Noc e i soldi per la manutenzione delle infrastrutture sono messi a disposizione dell’azienda attraverso il budget annuale del Consiglio presidenziale di Tripoli. Da qui nascono le frizioni tra l’autorità di Serraj e la compagnia, che accusa il governo di non darle abbastanza fondi per le sue attività, cruciali per la ripresa economica di un paese dove mancano riserve di moneta straniera, l’inflazione è alta, i servizi sempre più scarsi e cresce il malcontento sociale. Inoltre, è con i soldi delle rendite petrolifere nelle casse della Banca centrale che Tripoli paga gli stipendi di dipendenti pubblici e membri delle milizie non soltanto a ovest, ma anche, in parte, a est.

 

Nella serata di ieri nessuno aveva ancora rivendicato l’assalto (in cui sono morti due assalitori e due dipendenti) alla sede della Noc, un imponente edificio squadrato in un quartiere residenziale di Tripoli. Secondo il ministero dell’Interno, dietro al raid potrebbe esserci lo Stato islamico, che già a maggio ha rivendicato un attacco alla sede della commissione elettorale. Se fosse così, spiega Gazzini, l’obiettivo della Noc sarebbe in linea con la sua strategia di destabilizzazione e indebolimento dell’autorità centrale. L’attacco arriva proprio mentre l’attività della compagnia petrolifera riprende forza, e mentre la comunità internazionale – Francia e Italia in testa – dibatte sull’opportunità di elezioni in una situazione di totale mancanza di sicurezza.

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Ieri dopo tante visite italiane a Tripoli il ministro degli Esteri italiano, Enzo Moavero Milanesi, era a Bengasi per convincere il generale Haftar a partecipare a una conferenza in Italia a novembre. La sicurezza mancava sicuramente davanti alla sede della Noc: Sanallah stesso, per non scendere a patti con le milizie di Tripoli, ha rifiutato la loro protezione. Secondo Gazzini, l’episodio di ieri rischia di gonfiare i rancori tra l’azienda e il governo Serraj “per la mancata protezione”, e “mette di nuovo in luce come i provvedimenti di sicurezza nella capitale siano stati finora fallimentari e nocivi: lasciare alla discrezione delle singole istituzioni se ingaggiare una milizia o l’altra per la propria sicurezza è una strategia destinata a rafforzare l’idea di un controllo di cartelli mafiosi”.

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