L'ambasciatore americano a Berlino, Richard Grenell, e il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier

Perché i tedeschi sono così arrabbiati con l'ambasciatore di Trump

Micol Flammini

Tra dazi e promesse populiste, il rapporto tra Washington e Berlino si sta deteriorando

Quello di Richard Grenell, ambasciatore americano a Berlino, non è stato uno scivolone. Il diplomatico ha rilasciato un’intervista a Breitbart – sito di estrema destra un tempo guidato da Steve Bannon, teorizzatore di un'internazionale dell’alt-right – e venendo meno all’aplomb che si addice a un diplomatico ha detto di sentirsi esaltato per il diffondersi dei partiti populisti in Europa.

 

 

“L’ondata di politica conservatrice – ha detto Grenell – mi dà un senso di eccitazione”, e dopo aver ballato sulla tomba delle sinistre europee, l’ambasciatore si è detto pronto a sostenere il populismo ovunque. A est, dove i movimenti euroscettici e populisti sono ormai di vecchia data. E a ovest dove ancora è in atto una battaglia di resistenza, che in Italia, laboratorio bicolore di populismi, i cosiddetti partiti tradizionali hanno già perso. Ma Grenell è pronto a sostenere il populismo con entusiasmo ed eccitazione anche in Germania, dove il pericolo populista è stato scampato a fatica nelle elezioni di settembre dello scorso anno e l’AfD ha preso il 12,6 per cento, quasi l’otto per cento in più rispetto alle elezioni precedenti.

 

Il governo tedesco ha chiesto chiarimenti agli Stati Uniti. La portavoce del dipartimento di stato, Heather Nauert, ha difeso l’ambasciatore sostenendo che gli americani hanno il diritto di dire quello che pensano. Non gli ambasciatori, che di regola sono tenuti a non esprimersi riguardo alle questioni interne dei paesi che li ospitano. La diplomazia americana non fa eccezione e Richard Grenell, che alle spalle ha una lunga carriera diplomatica, sa a quale codice deve attenersi. Quella di Grenell non è una gaffe e Berlino vi ha letto la volontà di indebolire i partiti della Grosse Koalition a favore delle forze populiste.

 

L’ex leader socialdemocratico Martin Schulz e Sarah Wagenknecht, del partito Linke, hanno chiesto l’espulsione del diplomatico, il ministro degli Esteri lo ha invitato invece a chiarire le affermazioni. Angela Merkel non ha ancora parlato. Grenell è arrivato a Berlino in aprile ed è un altro degli interpreti delle politiche anti tedesche degli Stati Uniti, espresse senza troppi giri di parole con i dazi che il primo giugno Donald Trump ha imposto alle esportazioni europee di alluminio e acciaio. Adesportare questi metalli negli Stati Uniti è soprattutto la Germania, quindi tra le economie europee più colpite c’è senza dubbio Berlino.

 

 

Le tariffe sull’acciaio e l’alluminio costeranno alla Germania circa 40 milioni di euro, secondo l’istituto Ifo di Monaco. Molte di più sarebbero le perdite sull'altra guerra commerciale che Trump intende dichiarare alla Germania: le importazioni di automobili tedesche negli Stati Uniti valgono oltre 5 miliardi di euro. La Casa Bianca ha avviato un'indagine per determinare se importare auto costituisca una minaccia per la sicurezza nazionale e la Merkel, oltre che per le frasi dell’ambasciatore Grenell, si sta preoccupando per una frase detta dal presidente americano a un fiducioso Emmanuel Macron in visita ufficiale negli Stati Uniti, e resa nota da alcune indiscrezioni dei media tedeschi: “Voglio liberare la Fifth Avenue dalle Mercedes”.

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