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In Slovenia vince l'amico di Orban, ma formare un governo sarà dura

Luca Gambardella

Gli antieuropeisti di Janez Jansa diventano primo partito, ma non hanno la maggioranza. Si apre uno scenario all'italiana, col rischio di un ritorno alle urne. Ma è un altro allarme per l'Ue

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In Slovenia il partito di centrodestra e anti immigrati di Janez Jansa ha vinto le elezioni parlamentari, ma con un numero di voti insufficiente a formare una maggioranza di governo. Il Partito democratico sloveno ha ottenuto circa il 25 per cento dei consensi, in linea con i sondaggi usciti nei giorni precedenti. Si apre così uno scenario politico molto simile a quello italiano, perché i partiti rivali hanno già dichiarato di non avere intenzione di formare una coalizione con i populisti. I no a un'ipotesi di alleanze sono già arrivati da Marjan Sarec, leader di una lista centrista arrivata seconda con il 13 per cento, e dai socialdemocratici di Dejan Zidan, che hanno raccolto il 10 per cento. Ora il rischio è che le consultazioni per formare un governo durino a lungo e che in mancanza di un accordo si ritorni alle urne.

 

Nonostante il pericolo di uno stallo politico, la vittoria del Partito democratico di Jansa è un ulteriore successo per i movimenti populisti europei. Di fatto, l'intera regione della Carinzia – racchiusa tra le frontiere di Austria, Slovenia e Italia – snodo chiave tra i Balcani e l'Europa centrale e orientale, è ora governata da esecutivi anti migranti, anti europeisti e sovranisti.

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La Slovenia ha una popolazione di appena 2 milioni di abitanti e nel 2017 ha processato appena 152 richieste di asilo. Eppure la retorica della chiusura delle frontiere ha ottenuto un seguito notevole nel paese. "Prima la Slovenia", ha esultato Jansa dal suo quartier generale di Ljubljana subito dopo i risultati delle elezioni che lo davano vincitore. La riproposizione dello slogan trumpiano – per altro nel paese dove è nata la first lady americana, Melania Trump – è lo stesso che ha già riscosso successi in altri paesi dell'Europa dell'est: dalla Polonia alla Repubblica ceca, passando per la Slovacchia, fino all'Ungheria, governata dal grande sponsor di Jansa, il premier anti europeista per eccellenza, Viktor Orban (anche la storia politica dei due leader ha diversi aspetti in comune, come avevamo scritto qui).

 

Il nazionalismo del leader di centrodestra ha permesso di raccogliere voti in senso trasversale. Uno dei pezzi forti su cui ha battuto molto il partito populista in campagna elettorale è stato il caso di una disputa territoriale con la Croazia che dura ormai da 27 anni. La questione riguarda le rivendicazioni avanzate dai croati su circa metà della Baia di Pirano, estesa poco più di 7 miglia marittime. Secondo Jansa, l'ex premier Cerar è stato troppo morbido nei confronti della Corte europea di arbitrato e l'ha accusato di cedere territori al 100 per cento sloveni ai vicini croati.

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L'altra carta vincente è stata l'immigrazione. Nelle scorse settimane il partito populista ha ricordato più volte l'ondata eccezionale di migranti che ha interessato il paese nel 2015. All'epoca, prima che l'accordo tra Ue e Turchia interrompesse l'esodo di milioni di persone lungo la rotta balcanica, oltre 500mila persone attraversarono la frontiera slovena. L'ormai ex premier, il centrista Miro Cerar (il grande sconfitto della tornata elettorale di domenica, arrivato quarto con appena il 9,5 per cento dei voti) decise nel novembre del 2015 per la costruzione di una barriera anti migranti al confine con la Croazia, una delle tante che sarebbero state costruite di lì a poco. "Dirò quello che avevo già detto prima: siamo per la solidarietà ma siamo contro la stupidità", ha spiegato ieri Jansa. Il leader populista è contrario alla ripartizione obbligatoria dei migranti tra gli stati membri dell'Europa (domani è prevista una riunione del Consiglio Ue in Lussemburgo in cui si affronterà proprio il problema dell'accoglienza) e ripropone i mantra di Orban in chiave nazionale: accogliere i migranti, dice, è un pericolo per la stabilità dell'intera Europa, come ha dimostrato il disastro del 2015: "Non si ripeterà di nuovo", ha assicurato.

 

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Per questo, in attesa di vedere come si evolveranno i tentativi per formare una coalizione di governo, la svolta populista nel paese preoccupa molto l'Unione europea. La Slovenia è stata il primo paese balcanico a entrare nell'area Schengen nel 2004 e poi nell'Eurozona nel 2007, resta la porta di ingresso dell'Ue verso i Balcani occidentali, ed è un'isola felice della regione, con una crescita economica che nel 2017 ha raggiunto il 5 per cento. Per ora i timori di un allargamento del Gruppo di Visegraad fino a Ljubljana restano latenti. Ma il rischio che si chiuda un triangolo populista tra Italia-Austria-Slovenia è un ulteriore allarme per l'Ue.

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