L'occupazione all'Università di Nanterre (foto LaPresse)

La lotta contro la “violenza fiscale” di Macron

Francesco Maselli

I dialoghi all’università di Nanterre, dove tutto è nostalgia

Parigi. La facoltà di Nanterre, in banlieue parigina, continua la sua occupazione contro la riforma dell’Università voluta dal presidente Emmanuel Macron, che introduce la selezione per iscriversi ed evitare l’incubo dell’estrazione a sorte, metodo utilizzato l’anno scorso di fronte al numero troppo alto di immatricolazioni rispetto ai posti disponibili. Il voto dell’assemblea generale degli studenti riunita nell’anfiteatro più grande dell’università, per alzata di mano, è stato plebiscitario: 1.444 voti a favore, 351 contro. L’assemblea è durata circa quattro ore ed è stata piuttosto tesa, difficile parlare per gli studenti contrari al blocco, continuamente interrotti con fischi e ululati della folla, toni molto accesi da parte dei favorevoli, visti anche i molti interventi ambigui che hanno cercato di giustificare le violenze dei black block, i gruppi di estrema sinistra che durante il corteo del primo maggio hanno vandalizzato vetrine, concessionari e banche.

 

In effetti non è soltanto di università che si parla tra i banchi dell’anfiteatro o negli interventi sul palco, e d’altronde non sarebbe un tema sufficiente per mobilitare da settimane una minoranza molto combattiva in grado di bloccare completamente le attività didattiche di uno dei principali atenei della capitale e pretendere la convalida degli esami con una sorta di 30 politico. Da un lato, la decisione del presidente della facoltà, Jean-François Balaudé, di chiedere l’8 aprile scorso l’intervento dei reparti CRS della polizia per evacuare un centinaio di studenti riuniti in assemblea generale, ha scatenato la rabbia degli studenti e ha motivato i più radicali, che sono riusciti a sfruttare a proprio vantaggio quello che è stato vissuto come un atto violento e non necessario; dall’altro la fermezza del presidente, Emmanuel Macron, che prima ha definito i manifestanti dei “professionisti del disordine” e poi, durante la sua lunga intervista televisiva del 15 aprile, li ha invitati a “studiare se vogliono passare i loro esami alla fine dell’anno, perché non ci saranno ‘esami al cioccolato’ nella Repubblica”, ha elevato il livello dello scontro.

 

Ed ecco che uno studente parla di “farla finita con la monarchia presidenziale”, un altro di una battaglia che “non è soltanto contro la riforma ma contro questo potere, contro questo sistema, contro questa civiltà”, un altro ancora solidarizza con i violenti del primo maggio “la vera violenza non è di chi sfonda le vetrine, tanto poi pagano le assicurazioni, ma del governo che ci impedisce di studiare e di avere un futuro”. Non mancano nemmeno le critiche alle spese militari e agli interventi in medio oriente, accolte da applausi scroscianti: “Abbiamo speso milioni per lanciare una decina di missili in Siria e le nostre università cadono a pezzi”.

 

I toni molto accesi non sono soltanto quelli degli studenti. Il sindaco di Nanterre, Patrick Jarry, ex esponente comunista e oggi iscritto alla Fesa, una federazione di ecologisti radicali, sale sul palco e invita gli universitari a continuare nella loro lotta, e qualche professore appare anche più duro dei suoi studenti, come Thierry Labica, docente di letteratura inglese, che mette in guardia dalla “distruzione del servizio pubblico” voluto da Macron e dalla “violenza fiscale” del suo governo.

 

In generale, a Nanterre, si sogna un nuovo Sessantotto. E’ probabilmente un cliché, ma l’idea di “onorare” l’anniversario è piuttosto radicata tra gli studenti con cui ha parlato il Foglio, che non intendono fermarsi alla semplice contestazione della loi Ore, ma vogliono andare oltre, far parte di un movimento che, insieme ai funzionari pubblici e ai ferrovieri, costringa Macron a fare un passo indietro. E cercano di istituire una sorta di società alternativa all’interno della facoltà occupata, tra bagni “inclusivi”, conferenze di esponenti vicini al Parti des Indigenes, partito estremista e razzista contro i bianchi, e seminari sui nuovi spazi di conflitto, come la Zad, i terreni occupati dai militanti ecologisti contro il progetto di aeroporto di Notre-Dame-Des-Landes, nella Loira (e che, nonostante il piano sia stato abbandonato, non vogliono lasciare). E qui c’è, tuttavia, la differenza con il Sessantotto: per ora, della famosa “convergenza delle lotte” tra operai, studenti, ferrovieri e funzionari pubblici, non si vede l’ombra. Così come di un partito o di un leader politico in grado di sfruttare a suo vantaggio le proteste contro il governo. Insomma, Macron può dormire tranquillo.

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