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La Russia può vivere senza parmigiano e champagne, ma non senza Telegram

Micol Flammini

Tutti, deputati inclusi, usano l’app infrangendo il divieto

Roma. L’orso, San Giorgio che infilza il drago, l’aquila bicipite. La Russia del 2018 forse non è più rappresentata da queste simbologie suppergiù antiche. Forse quando l’accanimento nei confronti di Telegram e quando questa vicenda tragicomica, impacciata e penosa finirà, sarà un aeroplanino bianco su sfondo azzurro a raccontare la nuova Russia. Il Cremlino si è intestardito, vuole che l’app di messaggistica venga bloccata a tutti i costi. Pavel Durov si è rifiutato di cedere alla Roskomnadzor, l'autorità che controlla le comunicazioni, i codici per decrittare i messaggi degli utenti, così il Tribunale di Mosca ha deciso di bloccare il servizio sul territorio russo. Ma la società sposta la sua infrastruttura sui server di terze parti e l’aeroplanino continua a volare tra le maglie della rete quasi indisturbato. L’agenzia federale ha risposto in modo isterico, si è lanciata alla ricerca forsennata e caotica dell’applicazione e nel tentativo di raggiungere gli indirizzi Ip che fanno capo a Telegram ha cancellato di tutto. Servizi di Amazon e Google, Viber e siti di altre compagnie locali, VKontakte, Yandex, Twitter e Facebook. I governi stranieri hanno risposto sdegnati, le aziende si sono limitate ad augurarsi la riattivazione tempestiva dei servizi e i nerd di tutto il mondo hanno reagito con composto disprezzo. Non potevano aspettarsi una gaffe digitale di questa portata da parte del paese che ha determinato le sorti delle elezioni negli Stati Uniti. L’autorità russa per le comunicazioni, su suggerimento del portavoce di Vladimir Putin, si è scusata con le società colpite dal blocco: “E’ stato un inconveniente tecnico, gli indirizzi Ip dei social network russi e stranieri non sono soggetti al bando”, ha sottolineato.

 

La sopravvivenza di Telegram, però, non racconta solo la storia dell’abilità informatica dei suoi creatori o dell’ostinazione di Pavel Durov, sta facendo emergere anche un dato importante. In Russia c’è dissenso. Il blocco dell’app non è stato accolto con il consueto supporto e la solita obbedienza, i cittadini, deputati della Duma inclusi, si stanno ingegnando per poter continuare a utilizzare sia Telegram sia gli altri servizi che la Rosskomnadzor sta bloccando. Aggirare il ban non è difficile, soprattutto perché diversi siti più o meno vicini al governo stanno fornendo informazioni su come fare. Anche Sberbank, una delle più importanti banche russe, ha fornito ai suoi dipendenti le istruzioni su come continuare a usare i social nonostante la censura, Telegram viene usato per le comunicazioni aziendali, è entrato nella quotidianità del colosso bancario che per quanto devoto al Cremlino non vuole rinunciarvi. Le indicazioni su come aggirare il blocco sono apparse anche sul sito di Rossia, un canale televisivo governativo.

 

Finora i russi avevano accolto i divieti e le battaglie del Cremlino con entusiasmo patriottico. Quando la Russia proibì le importazioni di cibo occidentale in risposta alle sanzioni per il conflitto in Ucraina, i cittadini avevano manifestato tutto il loro sostegno, postando sui social foto di prodotti alimentari russi e dichiarando con orgoglio che sarebbero sopravvissuti con orgoglio senza jamón e parmigiano. Quando Mosca bloccò i voli per la Turchia dopo che Ankara aveva abbattuto un caccia russo, i russi fecero ripartire le località turistiche balneari, alcune quasi in abbandono, a Sochi e in Crimea e continuarono a boicottare i viaggi in Turchia anche dopo la riattivazione della tratta aerea.

 

Con i social no. Sarà perché li ritengono più essenziali del parmigiano o di una nuotata nell’Egeo, ma questo ban ai russi proprio non è piaciuto.

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