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Così l'Europa centrale si riscopre culla dell'antisemitismo

Mauro Zanon

Germania, Polonia, Austria, si moltiplicano i pregiudizi e gli atti violenti contro gli ebrei. Un'inchiesta del Monde

Parigi. Da quando è stata votata la legge che nega la responsabilità della “nazione polacca” nella Shoah, lo scorso 1° febbraio, tira una brutta aria di antisemitismo a Varsavia. In Germania, la recrudescenza degli atti violenti contro gli ebrei è una questione che suscita grande inquietudine nel governo di Angela Merkel, al punto che si è deciso di creare il posto di “delegato interministeriale per la lotta contro l’antisemitismo”. Nella vicina Austria, dove il premier conservatore Sebastian Kurz governa assieme ai nazionalisti dell’Fpö, dal 2014 a oggi gli episodi antisemiti sono raddoppiati. “L’antisemitismo si affaccia nuovamente nell’Europa centrale”, titola il Monde in edicola il 20 aprile (foto sotto), dedicando un approfondimento a questo virus che sembrava estirpato e invece negli ultimi anni è tornato a diffondersi in maniera capillare, in particolare nella regione mitteleuropea.

 

   

Il 51 per cento dei polacchi non vuole che la propria figlia sposi un ebreo

“Perché nessuno vuole controllare il flusso di ebrei? Sono una piaga peggio degli islamisti e dei comunisti messi assieme”, si legge nel messaggio di un telespettatore apparso in sovraimpressione sulla rete televisiva pubblica Tvp Info. “Gli ebrei hanno mostrato il loro vero volto: l’industria dell’Olocausto serve loro per estorcere milioni di crediti immaginari alla Polonia”, scrive un altro. È la Giornata internazionale dedicata alla memoria delle vittime dell’Olocausto, ma è questo il tenore delle reazioni. Rafal Ziemkiewicz, editorialista principe del settimanale ultraconservatore Do Rzeczy, è solito fare “ironia” sulla Shoah in prima serata. Un giorno ha detto che gli ebrei sono stati gli “assistenti” dei nazisti attorno ai forni crematori, e su Twitter, in piena crisi diplomatica con Israele, ha scritto: “Per molti anni, ho cercato di convincere i polacchi che bisognava sostenere Israele (…) Oggi a causa di qualche stupido e di qualche parassita affetto da cupidigia, mi sento un cretino”. Dalla controversa legge sulla Shoah, che ha incrinato i rapporti con gli Stati-Uniti e Israele, si assiste a Varsavia a una vera e propria liberazione della parola antisemita. Il direttore del Museo di Auschwitz-Birkenau, Piotr Cywinski, è stato il bersaglio di una campagna di odio senza precedenti, scatenata da un pubblicitario molto vicino al governo. Quest’ultimo ha accusato Cywinski di “lavare Auschwitz dagli elementi che mostrano l’eroismo polacco” e di fare così il gioco della “narrazione ebraica”. Secondo il direttore del Centro di ricerca sui pregiudizi dell’Università di Varsavia, Michal Bilewicz, c’è “un’epidemia di linguaggio di odio che si propaga nel discorso pubblico polacco”. Per quest’ultimo, la recrudescenza dell’antisemitismo è palpabile soprattutto in un dato emerso da uno studio: “Oggi, il 51 per cento dei polacchi dice di non volere che la propria figlia sposi un ebreo. È lo stesso livello del 1967. Dallo stesso studio emerge che il 30-40 per cento delle persone intervistate crede nell’esistenza di un complotto ebraico”.

 

947 atti antisemiti nel 2017, un aumento del 55 per cento rispetto al 2016

Non passa giorno senza che la Germania non venga scossa da un episodio antisemita. Sempre più spesso ne accadono anche tre nell’arco di ventiquattro ore, come mercoledì scorso. A Berlino, nel quartiere di Prenzlauer Berg, un ragazzo israeliano di 19 anni che indossava la kippah è stato preso a cinghiate da un giovane siriano musulmano; gli Echo Awards, gli oscar della musica assegnati dalle case di produzione tedesche, hanno incoronato due rapper, Kollegah e Farid Bang, che nel loro album cantano in tutta tranquillità “Il mio corpo è più definito di quello di un prigionieri di Auschwitz” e “Faccio un alto Olocausto, arrivo con la Molotov”; a Costanza, nel sud della Germania, è stata annunciata la pièce teatrale “Mein Kampf”, una farsa sulla gioventù di Hitler diretta da un tedesco di origini turche, che agli spettatori che indosseranno una svastica il giorno dello spettacolo non farà pagare il biglietto. Metteteli tutti assieme e capirete cosa sta succedendo in Germania. Per prenderne maggiormente conoscenza, basta leggere le cifre del Centro di informazione e di ricerca sull’antisemitismo di Berlino (Rias): 947 atti anti ebraici nel 2017, ossia il 55 per cento in più rispetto all’anno precedente. L’arrivo massivo degli immigrati musulmani, nonostante i media cerchino di nasconderlo, è una delle cause principali di questo aumento esponenziale. Felix Klein, a partire dal prossimo 2 maggio, ricoprirà l’incarico di “delegato interministeriale per la lotta contro l’antisemitismo”, con l’obiettivo di ridurre queste cifre drammatiche.

 

L’Fpö, tra citazioni di Hitler e t-shirt naziste

Il primo ministro di Vienna, Sebastian Kurz, governa da appena quattro mesi con la destra radicale dell’Fpö, ma gli scivoloni antisemiti dei compagni di Heinz-Christian Strache si moltiplicano. Un diplomatico austriaco a Tel-Aviv è stato richiamato in Austria, dopo essersi mostrato con addosso una t-shirt nazista. Un politico locale in quota Fpö è stato sospeso dal suo incarico per aver condiviso su WhatsApp delle citazioni di Adolf Hitler. E Udo Landbauer, candidato a un’elezione regionale, è stato costretto alle dimissioni, dopo la scoperta di libri di canti che facevano apologia del Terzo Reich nella corporazione pangermanista di cui era un dirigente. “Abbiamo oggi e dinanzi alle generazioni future un dovere di responsabilità per la memoria delle vittime dell’Olocausto”, ha affermato il vicecancelliere Strache, cercando di spazzare via le accuse di antisemitismo. Ma la comunità ebraica locale non è convinta dalle rassicurazioni del leader dell’Fpö. “Abbiamo effettuato delle ricerche che certificano, negli ultimi anni, un finanziamento sistematico da parte dell’Fpö di organismi che diffondo idee antisemite”, ha dichiarato Alexander Polak, presidente dell’associazione SOS Mittmensch. Die Aula, rivista dove si affiancano negazionisti e neonazisti, è uno dei fogli di riferimento del partito di Strache. L’Fpö ha la pubblicità assicurata tra le pagine del magazine e alcuni dei suoi membri impugnano anche la loro penna per esprimere opinioni sui temi più svariati. Per tentare di spegnere le polemiche, Strache ha annunciato la creazione di un comitato incaricato di effettuare un lavoro di memoria in seno al partito. Il primo bilancio sarà reso pubblico ad ottobre, ma per molti osservatori non basterà per scacciare definitivamente i vecchi demoni antisemiti.

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