Il populismo dei performer si combatte con uno show di coalizioni e valori
L'analisi e il consiglio dello storico francese Pascal Ory, autore del libro “Peuple souverain”
Roma. Tutto ha avuto inizio con la modernità. Prima non c’era il popolo: non poteva esistere nemmeno il populismo. Nel libro uscito lo scorso dicembre in Francia, “Peuple souverain”, lo storico Pascal Ory definisce il populismo una forza polimorfa che può travestirsi da dittatura, come da democrazia. Lo scrittore, docente nelle due più prestigiose università di Parigi, la Sorbona e Science Po, spiega al Foglio: “Il rifiuto del compromesso come dell’autorità parlamentare, la stigmatizzazione incendiaria delle élite sono tutte caratteristiche tipiche dei populismi di ogni èra e nazione”, che agiscono sempre in difesa della più “grande invenzione della modernità”: il popolo. “Nel suo nome è tutto possibile”, commenta Ory.
Ed è proprio in Italia che, secondo Ory abbiamo uno dei massimi esempi di messinscena populista. “Beppe Grillo è l’incarnazione della teatralità, una cosa che gli riesce naturale anche per mestiere, e l’ha usata per unire e attrarre le persone. I populisti non scendono in piazza per manifestare, la invadono come fosse un’arena, un teatro e le loro proteste sono di tipo performativo. Il M5S ha avuto un regista straordinario, un performer professionista”. La storia prosegue in maniera ciclica e là dove non sono state la guerre a sovvertire il populismo è stato il progresso. “Ha ucciso la sinistra radicale e per questo, anche oggi, i partiti che vogliono sconfiggere la minaccia populista devono mostrarsi come i fautori del progresso di una nazione”, eppure, nell’est europeo è accaduto il contrario, i populismi sono diventati l’ideologia dominante proprio mentre Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia erano al culmine del loro sviluppo. “Nei paesi di Visegrad si aggiunge un discorso ulteriore che è quello identitario. Inoltre, il populismo nasce dove hanno fallito le sinistre, gruppo politico che a est ancora fa fatica ad affermarsi”.
In tutta Europa, avverte Pascal Ory, i populismi non sono ancora stati sconfitti, ma è stato scoperto un modo per arginarli: “Una convergenza tra le due grandi famiglie politiche di centro”. Se il populismo è la sintesi approssimativa delle peggiori istanze di destra e sinistra, solo una coalizione che coniughi il meglio dei due schieramenti, liberali e socialdemocratici, può sconfiggerlo. “Così è successo in Germania, ma questa è una risposta teorica che non tiene conto del fascino che il populismo esercita sulla società, quindi, per convincere gli elettori che il centrismo è la miglior risposta per questo periodo storico, i partiti devono collaborare”, lavorare per il progresso e non rincorrere la teatralità populista. “Poi c’è un paese bizzarro – conclude con orgoglio Pascal Ory – la Francia. Emmanuel Macron è riuscito da solo a battere il Front national, è stato un evento in controtendenza, atipico e così ha portato in Parlamento un cambiamento radicale che non si vedeva dal 1958 e lo ha fatto senza nulla togliere ai valori tradizionali del paese”. Tradizione e cambiamento. Coalizione e progresso. Sono queste le armi che lo storico suggerisce di usare anche in Italia, in vista del 4 marzo.