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Il giorno in cui persino Theresa May fa un po' di tenerezza

Paola Peduzzi

La premier ha chiuso la conferenza dei Tory a Manchester. Ma nulla resterà del suo discorso, se non il raffreddore, la tosse e la scritta dietro al palco che ha iniziato a crollare 

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Un po' di tenerezza la fa anche Theresa May. Rigida, ripiegata su se stessa, di fronte a un pubblico che non la ama – i suoi ministri, i suoi parlamentari, che quest'anno sono venuti in pochissimi, perché l'insofferenza è tanta e perché, come ha riferito un assente al Times: “Se avessi detto a mia moglie che avrei speso 250 sterline a notte per un incontro di lavoro, mi avrebbe castrato” – la premier inglese non ha potuto godersi nemmeno il suo unico momento di solitaria visibilità.

 

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La conferenza dei Tory a Manchester è stata una fiera delle vanità, in cui ognuno ha voluto lavorare per se stesso. Non s'è parlato che di Boris Johnson, ministro degli Esteri ribelle e chiacchierone, che dovrebbe essere cacciato in malomodo – così chiedono molti conservatori alla premier – e che invece è sulla bocca di tutti. Il

 

" target="_blank">suo discorso non era fatto per ferire la May, ma non c'è nessuno convinto che Johnson possa pensare a qualcuno che non sia se stesso: ha fatto una gaffe enorme sulla Libia che gli è costata un'altra serie di richieste di dimissioni, ma neppure questo ha scalfito la chiacchiera su di lui. In assenza di una leadership forte al governo, ogni alternativa resta papabile – che sia Johnson, o il cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond in lotta contro “i comunisti” del Labour, o il ministro dell'Interno Amber Rudd che ha anche – scrive il Times – assunto il guru elettorale Lindon Crosby per vedere se c'è spazio per una premiership.

   

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All'ultimo giorno, in chiusura dei lavori, è arrivata Theresa May, un pochino più scollata del solito e ammalata: alla fine del discorso, durato un'oretta, era senza voce. Ha cercato di rilanciare unità e retorica dei “dimenticati”, ha introdotto il “British dream” come opportunità per tutti – non moriremo di Brexit – ma nulla resterà di questo discorso, se non il raffreddore, la tosse, due altri ricordi, e un pochino di tenerezza. La scritta dietro al palco, Building a country that works for everyone, ha iniziato a crollare. Letteralmente. Prima è venuta giù la “f”, dopo i giornalisti inglesi hanno iniziato a registrare il collasso: la scritta alla fine era irriconoscibile.

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Mentre May parlava poi un signore si è avvicinato dal pubblico e le ha passato un foglio, dicendole: “E' da parte di Boris Johnson”. Si trattava di un formulario P45, una lettera di licenziamento per la May. Tra le motivazioni del licenziamento: “Non è né forte né stabile”, “Siamo un pochino preoccupati per Jezza”, il soprannome del leader laburista Jeremy Corbyn. Si è poi scoperto che a consegnare il foglio è stato un comico, e la May è stata anche abbastanza svelta nel rispondere che l'unico licenziamento che vorrebbe consegnare è a Corbyn: ma il danno era fatto. Quando poi è circolato il video dell'applauso finale, con la Rudd che dice a Johnson di alzarsi, al discorso è stata appiccicata l'etichetta finale: “da incubo”.

 

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