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Tabù delle immagini

L’Aftenposten ieri ha accusato Facebook di aver censurato la foto più celebre della guerra del Vietnam, la bambina nuda che scappa dal bombardamento al Napalm che valse un Pulitzer al suo autore.
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L’Aftenposten ieri ha accusato Facebook di aver censurato la foto più celebre della guerra del Vietnam, la bambina nuda che scappa dal bombardamento al Napalm che valse un Pulitzer al suo autore. Il direttore, Espen Egil Hansen, ha richiamato il ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, alle sue responsabilità in quanto “più grande editore mondiale”. Il social americano aveva chiesto alla redazione di rimuovere o pixelare la bambina nuda, salvo fare marcia indietro pubblicamente in serata.

 



Kim Puch in fuga, straziata dal napalm, nella foto scattata da Nick Up

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Da anni, le testate giornalistiche dibattono su cosa si debba pubblicare. E in questi quindici anni di anniversari dell’11 settembre le abbiamo viste tutte le immagini del “nostro” orrore, dalle tute arancioni di Guantanamo ai corpi ammassati ad Abu Ghraib. Ma del “loro” orrore, dell’orrore di chi distribuisce morte agli uomini e video ai media, non si è visto più niente. Come ricordava ieri Time magazine, il giorno dopo l’11 settembre iniziò l’autocensura occidentale. Oscurando l’immagine simbolo del quadruplice volo sui cieli d’America che fece tremila morti e che nessuno oggi osa ripubblicare. E’ l’“uomo che cade” del fotografo dell’Ap, Richard Drew. Dieci secondi in caduta libera dalle Torri in posizione ad arco, mentre il vento e la velocità gli strappano via la camicia bianca. Nessuno ha mai scoperto chi fosse quell’uomo. L’immagine comparve a pagina sette del New York Times del 12 settembre 2001 e in moltissimi altri giornali, anche europei. Ma il giorno dopo, giornali e tv la ritirarono e furono costretti alla difensiva, cancellandola anche dall’archivio online.

 

Il magazine Esquire ha appena ripubblicato un articolo di Tom Junod sulla storia di quella fotografia e di come sia stata fatta sparire. Don Delillo non avrebbe usato l’immagine per il suo libro dal titolo “L’uomo che cade” (neppure nell’edizione italiana Einaudi). Quell’immagine sarebbe così diventata “la fotografia più famosa che nessuno ha mai visto”. Tutti i giornali, anche nella lontana provincia, dal Fort Worth Star-Telegram al Memphis Commercial Appeal fino al Denver Post, fecero retromarcia mentre alla Cnn mostrarono l’immagine, salvo eliminarla dopo una “discussione agonizzante” come disse Walter Isaacson. In “Rudy”, in cui James Woods interpreta il sindaco Rudy Giuliani, quella foto venne inclusa e poi eliminata dal montaggio. Nel giorno più fotografato della storia mondiale, le immagini dei “jumpers” furono le prime a diventare, con il consenso generale, tabù. E’ questa una delle grandi lezioni dell’11 settembre e che vale la pena ricordare: che la prima guerra che abbiamo scelto di perdere è stata quella delle immagini. E’ così che i morti delle Twin Towers e del Pentagono sono diventati dei fantasmi e che i civili israeliani massacrati dalle bombe umane sono, per i più, incidenti della nostra identità. Noi occidentali siamo invece diventati comparse di un’altra fotografia simbolo dell’11 settembre e che tanto scandalo ha generato. E’ quella che Thomas Hoepker scattò per la Magnum in un ristorante di Brooklyn, in cui un gruppo di persone prende il sole, rilassato e sereno, osservando sullo sfondo la nuvola di fumo che si alza dall’altra parte dell’East River. L’unico nemico che avremmo da allora conosciuto è quello dentro di noi.

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