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Chi è la Lady di ferro indonesiana che combatte i bulli cinesi

Giulia Pompili
Una chiacchierata con Susi Pudjiastuti, ministro degli Affari marittimi e della Pesca di Giacarta, su pesca illegale e conseguenze geopolitiche (e Twitter)
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Roma. Le Natuna sono un paradiso terrestre composto da circa 272 isole nel Mar cinese meridionale, l’avamposto indonesiano nella strategica guerra di posizione che si sta combattendo in quella porzione del Pacifico. Ma il bullismo cinese in Giacarta trova un formidabile argine. Il governo di Joko Widodo, sin dal suo insediamento nel 2014, ha dichiarato guerra alla pesca illegale – che costa all’Indonesia 20 miliardi di dollari l’anno. Da poco ha firmato un decreto per l’istituzione di un’unità della Marina autorizzata ad affondare qualsiasi nave straniera beccata a pescare illegalmente nelle acque territoriali indonesiane, senza passare per un tribunale. Tra l’ottobre del 2014 e l’aprile del 2016 il governo ha autorizzato l’affondamento di 176 pescherecci stranieri, tra cui almeno 63 vietnamiti e 43 filippini, ma sui giornali asiatici si è parlato soprattutto del peschereccio cinese sequestrato il 17 giugno scorso nelle acque delle isole Natuna – l’area compresa entro le 200 miglia, ricchissima di risorse naturali, che fa parte della Zona economica esclusiva di Giacarta.

 

Pechino reclama il 30 per cento dell’oceano intorno alle Natuna, e ha protestato per “l’aggressività” indonesiana. Dietro la nuova politica di tolleranza zero di Giacarta c’è una donna, Susi Pudjiastuti, 51 anni, che da quasi due anni è ministro degli Affari marittimi e della Pesca. Pudjiastuti è molto conosciuta in Indonesia: ha iniziato nel 1983 con una piccola catena di distribuzione di prodotti ittici nei mercati, senza nemmeno aver completato la scuola superiore. E’ arrivata ad avere una delle più ricche aziende di export d’Indonesia, e nel 2004 ha fondato la Susi Air, una piccola compagnia aerea di voli charter domestici. E’ una donna partita da zero, e ora è la Lady di Ferro d’Indonesia: “Siamo aggressivi? Vogliamo solo proteggere i nostri 250 milioni di cittadini. Ma la questione delle isole Natuna non è certo politica”, dice al Foglio Susi Pudjiastuti, con la voce bassa di chi fuma molte sigarette: “Quello dei confini è un problema tra paese e paese. Invece la pesca illegale è un crimine. Non mi importa se sono pescherecci che vengono dalla Thailandia, dalla Malesia, dal Vietnam, dalla Cina o dagli Stati Uniti. Se arriva un peschereccio dall’Italia, entra nelle nostre acque, ci ruba il pesce, noi lo sequestriamo e lo facciamo saltare. E’ semplice”. E non si tratta solo di pesca, perché “la criminalità riguarda anche il contrabbando, il traffico di droga e di esseri umani. Il 97 per cento dei confini indonesiani è sul mare, solo il 3 per cento sulla terra, e ci sono moltissimi pescherecci stranieri nelle nostre acque che non possiamo controllare”. Susi Pudjiastuti è a Roma per promuovere alla Fao un accordo – già ratificato da 35 paesi – che aiuta a controllare le navi che attraversano o commerciano in acque straniere, anche per evitare l’eccessivo sfruttamento delle risorse di pesca: “Ogni paese ha il diritto di difendere la sovranità delle proprie risorse economiche e naturali – dice Pudjiastuti – questo è ciò che ci rende ricchi e liberi. Se un paese non ha più niente da offrire, è così che si creano le crisi di migranti”.

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L’Indonesia non ha dispute territoriali in atto, ma la decisione della Corte arbitrale di lunedì è stata festeggiata anche a Giacarta: “Le tensioni stanno aumentando. Se c’è una sentenza, tutte le parti dovrebbero rispettarla, e fare un passo indietro per promuovere la pace. Tutti devono sostenere la pace e la sovranità nel sud est asiatico, ed evitare di giocare nell’area”, dice Pudjiastuti. “Non vogliamo che la nostra pesca diventi un business straniero, questo è un principio che deve essere rispettato. E’ molto importante lo spirito nazionalista nel difendere la sussistenza del proprio paese, e non credo sia una minaccia alla globalizzazione”. Per il ministro, questo è un esempio che anche altri paesi dell’area dovrebbero seguire (“devono ribellarsi, essere più coraggiosi”). Susi Pudjiastuti è molto attiva su Twitter, perché “è un modo per essere vicina ai cittadini. Quando qualcuno mi scrive un problema, io lo rituitto, e nel mio ufficio sanno che devono prendere provvedimenti. L’esperienza nel settore privato mi ha dato la possibilità di essere più dura, ferma nelle decisioni: ‘Non farmi perdere tempo e non dirmi stronzate’. Ci sono talmente tante cose da sistemare, ho bisogno di risultati concreti e di un linguaggio diretto”.

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