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Strage di Dacca: prima i giornalisti laici, poi noi

Redazione
I massacri islamisti in Bangladesh ci riguardavano già prima di venerdì.
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Nove italiani uccisi nell’assalto terroristico di un commando dello Stato islamico in un locale a Dacca, in Bangladesh. Uccisi con “lame molto affilate” brandite da islamisti che risparmiavano la vita soltanto a chi sapeva rispondere a domande sul Corano, anche se ieri l’intellettuale Tahar Ben Jelloun su Repubblica pareva non volersene fare una ragione. Sono mesi, però, che il lontano e povero Bangladesh assiste a una strage simile, una strage quotidiana, amorfa, in cui le vittime sono quasi sempre scrittori della rete, blogger, editori, giornalisti, uccisi con lame altrettanto affilate, anche loro per rea “blasfemia”. Sembrava una storia virtuale, come se la loro morte non fosse reale, incapace di sdegnare e indegna persino di una sola riga di giornale. Poi gli islamisti sono passati ai sacerdoti cristiani e infine a masse di “infedeli”.

 

E’ avvenuto così anche in Siria, quando i tagliagole dello Stato islamico prima hanno colpito in loco, poi hanno giustiziato i giornalisti occidentali. Dopodiché, una notte, sono arrivati a Parigi e per tutti fu “l’attacco al mondo libero”. Oggi ci crogioliamo nella retorica, nei vari “non rinunceremo al nostro stile di vita”, ma faremmo meglio a ricordarci di quanto disse il pastore tedesco Martin Niemöller: “Prima vennero per i comunisti e io non alzai la voce perché non ero un comunista. Poi vennero per i socialdemocratici e io non alzai la voce perché non ero un socialdemocratico. Poi vennero per i sindacalisti e io non alzai la voce perché non ero un sindacalista. Poi vennero per gli ebrei e io non alzai la voce perché non ero un ebreo. Poi vennero per me e allora non era rimasto nessuno ad alzare la voce per me”. Allo stesso modo, il terrorismo islamista riguarda noi italiani, occidentali, anche quando prende di mira un blogger, una ragazza yazida o un cittadino israeliano. E’ su di loro che hanno prima affilato le loro lame.

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