La first lady giapponese che illude il Corriere
Roma. Sulla prima pagina di ieri del Corriere campeggiava una foto di Akie Abe, la first lady giapponese, corredata da un titolo forte (“La scelta di Akie Abe: voglio dire ciò che penso”) e un editoriale firmato da Dacia Maraini. Secondo la scrittrice, figlia del famoso orientalista Fosco, quello di Akie sarebbe stato “uno strappo”, che perfino il traduttore avrebbe riportato con “evidente imbarazzo e sorpresa”. Per la Maraini, infatti, “la moglie di un premier non può pensare per conto proprio e per giunta rivendicare pubblicamente la sua autonomia di pensiero”. Si sarebbe trattato quindi, secondo il Corriere, di una specie di coming out della first lady nipponica, intervenuta sabato a Milano all’incontro di Women for Expo.
Ma l’autonomia delle first lady giapponesi non è cosa poi così peregrina (non sono state molte quelle a essere durate più di sei mesi, negli ultimi anni. Miyuki Hatoyama, la first lady che credeva di essere stata rapita dagli alieni, possiamo citarla su tutte). In secondo luogo, nel progetto dell’Amministrazione Abe, “l’opposizione interna” della first lady è cosa ben rodata sul modello americano. Serve a ingentilire il conservatorismo, ma anche a dare un’anima al freddo governo dei numeri dell’Abenomics. Nel corso di questi tre anni al Kantei, Akie Abe è stata la prima a partecipare a un gay pride a Tokyo, ha detto che la riaccensione delle centrali nucleari le dà “un gran patema d'animo”, si è messa dalla parte dei pescatori del Tohoku quando la Dieta voleva costruire un enorme muro anti tsunami.