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editoriali

Il cdr del Sole contro l’inserto (a pagamento) della propaganda di Pechino

Redazione

Mentre in tutto il mondo i media decidono di mettere un limite ai finanziamenti e alla pubblicità che arrivano da paesi che rilanciano disinformazione come Cina e Russia, in Italia sembra che nessun dibattito pubblico sia stato ancora aperto sul tema

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Ieri, a pagina 30 del Sole 24 Ore, è stato pubblicato un comunicato del comitato di redazione del giornale che critica duramente la scelta dell’editore di continuare a pubblicare periodicamente l’inserto a pagamento Focus China. Era già accaduto in passato, che la redazione avesse protestato. Ma per i redattori del giornale economico l’ultima pubblicazione ha superato il limite: da un lato è pressoché impossibile per un lettore capire dove finisca il lavoro giornalistico e dove inizi l’inserto a pagamento – e invece per legge la differenza dovrebbe essere  immediata. Non è nemmeno chiaro chi sia il committente: l’ambasciata della Repubblica popolare in Italia? Il governo di Pechino? Una delle società di lobby cinesi operative in Italia? Ma la redazione, nel comunicato, sottolinea soprattutto l’aspetto più inquietante di chi decide di lasciare spazio a un certo tipo di finanziamenti: le quattro pagine di Focus China sono infatti quattro pagine di propaganda: “Si va da ‘Nel 2022 il pil cinese ha toccato un nuovo record’, a ‘Le imprese straniere puntano ancora sugli investimenti in Cina’ per atterrare con un significativo ‘La Cina, un hotspot per gli investimenti stranieri’. Insomma, pura propaganda per attrarre investimenti dall’Italia verso la Cina”, si legge nel comunicato.

 

“Articoli” che ovviamente rischiano di invalidare la credibilità del lavoro giornalistico fatto all’interno delle pagine del quotidiano. La crisi dell’editoria ha posto gli editori davanti a dilemmi concreti, comprensibili. Ma mentre in tutto il mondo i media decidono di mettere un limite ai finanziamenti e alla pubblicità che arrivano da paesi che rilanciano disinformazione e propaganda come Cina e Russia, in Italia sembra che nessun dibattito pubblico sia stato ancora aperto sul tema – il Giornale continua per esempio a distribuire la rivista Cinitalia, prodotta dalla principale società di media di Pechino. Una discussione seria e adulta sul nostro rapporto con Pechino è sempre più urgente, ma bisognerebbe evitare di rilanciare la loro propaganda a pagamento.

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