PUBBLICITÁ

Editoriali

Paolo Savona ammette che in Consob c’è una guerra che non sa gestire

Redazione

Il presidente dice che all'interno della commissione "è in corso l’eterna lotta tra conservazione e innovazione su cui si va giocando il futuro dell’Italia”. Una Vigilanza fuori controllo. Guai seri 

PUBBLICITÁ

"Non avendo tempo per rispondere agli amici che mi manifestano la loro solidarietà desideravo far sapere che non sono io a tenere in scacco la Consob, ma è la vecchia Consob a tenere in scacco Savona. È in corso l’eterna lotta tra conservazione e innovazione su cui si va giocando il futuro dell’Italia”. Firmato “Prof. Paolo Savona”. Ieri, con un tweet personale dall’account @ProfPaoloSavona, il presidente della Consob, che è tra l’altro un organo collegiale, ha reso noto a tutti che nell’Authority è in corso una guerra. E che questa guerra la tiene in scacco mentre lui, Savona, non ha tempo di rispondere alla solidarietà degli amici.
 

Ora, non è “conservazione” parlare di commistione tra modi privati e fini pubblici, per un accademico dal cursus honorum sterminato, e spesso sterminatamente esibito a costo di sconfinare in un’eterodossia fine a se stessa, cosa che gli costò agli albori del governo Lega-5 stelle il posto di ministro dell’Economia. Savona non è una mente brillante con diritto alla libera uscita, non lo è più da quando il 20 marzo 2019, quasi come risarcimento, accettò la presidenza della Consob: che controlla e tutela il mercato, le sue regole, i piccoli e grandi azionisti che vi investono soldi e attenzioni. A tenerlo in scacco, come dice il prof., sono probabilmente le accuse di inazione, riportate dal Foglio di ieri, su una questione cruciale per ciò che rappresenta nel capitalismo italiano, lo scontro nelle Generali tra vecchi e nuovi azionisti.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Non è certo la prima volta che si combatte su Mediobanca; si tratta di una costante da decenni. E’ però la prima volta che l’arbitro – non solo su Generali ma sull’uso della governance nelle aziende quotate, vedi anche Tim – butta la palla in tribuna e ammette di non essere in grado di arbitrare. E non lo fa per le vie istituzionali, informando il governo che lo ha nominato e il Quirinale che lo ha controfirmato. Un tweet personale è, come dire, un modo di cavarsela senza risponderne a chi di dovere. Certo non al mercato e all’opinione pubblica dei quali dovrebbe essere tutore e garante.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ