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Editoriali

La Cina richiama all’ordine il Papa

Pechino si arrabbia per un commento di Francesco sugli uiguri. Si dimostra così tutta la fragilità dell'Accordo segreto con la Santa Sede

Redazione

"Le dichiarazioni del Pontefice sono basate sul nulla", ha tagliato corto Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri cinese. Il Papa aveva detto di pensare spesso "ai popoli perseguitati: i rohingya, i poveri uiguri, gli yazidi”

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"Io penso spesso ai popoli perseguitati: i rohingya, i poveri uiguri, gli yazidi”. Sono bastate queste poche parole pronunciate dal Papa e contenute nel libro Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore, edito da Piemme e in uscita il prossimo 1° dicembre, per scatenare l’ira di Pechino. “Le sue dichiarazioni sono basate sul nulla”, ha detto Zhao Lijian, portavoce del ministero  degli Esteri, aggiungendo che “tutti i gruppi etnici nel paese godono del pieno diritto alla sopravvivenza, allo sviluppo e alla libertà religiosa”. Al di là della comica precisazione del regime di Pechino sulla “libertà religiosa” garantita nel suo paese – Zhao sorvola sulla sparizione di vescovi e preti, sui funerali vietati, sui divieti relativi al catechismo, sulla rimozione delle croci perché troppo vistose, il rimbrotto al Pontefice fotografa lo stato dei rapporti tra la Cina e la Santa Sede, che prevedono un attore dominante (Pechino) e uno subordinato (Roma).

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"Io penso spesso ai popoli perseguitati: i rohingya, i poveri uiguri, gli yazidi”. Sono bastate queste poche parole pronunciate dal Papa e contenute nel libro Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore, edito da Piemme e in uscita il prossimo 1° dicembre, per scatenare l’ira di Pechino. “Le sue dichiarazioni sono basate sul nulla”, ha detto Zhao Lijian, portavoce del ministero  degli Esteri, aggiungendo che “tutti i gruppi etnici nel paese godono del pieno diritto alla sopravvivenza, allo sviluppo e alla libertà religiosa”. Al di là della comica precisazione del regime di Pechino sulla “libertà religiosa” garantita nel suo paese – Zhao sorvola sulla sparizione di vescovi e preti, sui funerali vietati, sui divieti relativi al catechismo, sulla rimozione delle croci perché troppo vistose, il rimbrotto al Pontefice fotografa lo stato dei rapporti tra la Cina e la Santa Sede, che prevedono un attore dominante (Pechino) e uno subordinato (Roma).

 

L’accordo segreto relativo alla nomina dei vescovi  – che devono essere graditi a Xi Jinping, altrimenti in diocesi non entrano – aveva fatto sperare in una distensione che portasse, tra qualche anno, a una ripresa delle relazioni diplomatiche. Dopotutto, il Vaticano si era ben guardato dal dire una sola parola sulla repressione a Hong Kong, rifiutando anche di ricevere il quasi novantenne cardinale Zen – che quell’accordo lo denuncia da tempo – venuto appositamente a Roma. La sgridata del portavoce del ministero degli Esteri cinese conferma che il Politburo si è seduto al tavolo del negoziato, ha acconsentito a una minima apertura “pastorale” in cambio del silenzio totale su tutto ciò che riguarda i cosiddetti affari interni cinesi. Non è ammessa discussione: il Papa non deve parlare “dei poveri uiguri” né di altro. Su Hong Kong ha fatto benissimo a tacere, e infatti l’accordo è stato rinnovato e il terzo vescovo per così dire condiviso  è stato ordinato (è membro del comitato permanente dell’Associazione patriottica nazionale). Il tempo dirà se il gioco è valso davvero la candela. 
 

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