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Perché l’energia oggi è in saldo

Lorenzo Borga

Prezzi elettrici negativi in tutta Europa, anche a causa dell'arrivo della primavera. Ma la bassa redditività frena le rinnovabili

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L’Europa sta conoscendo un’ondata mai vista prima di prezzi elettrici negativi. Sì, avete letto bene: per generare elettricità i produttori sono disposti a pagare, invece di essere pagati. Secondo i dati raccolti da AleaSoft, nella prima settimana di aprile i mercati iberici hanno registrato prezzi negativi giornalieri sul mercato spot per la prima volta nella storia. Lo stesso è avvenuto in Germania, Francia, Olanda e paesi scandinavi, dove le tariffe negative si erano già viste in passato. In Italia invece – secondo la banca dati del Gme – non si è mai scesi sotto lo zero, ma ci si è avvicinati domenica 7 aprile con un prezzo di appena 10 centesimi al megawattora in alcune ore del giorno. La ragione è la primavera scoppiata nel continente, portando il sole che ha irradiato i pannelli solari e scacciando l’ultimo freddo. Ma attenti a gioire, come ha fatto credere qualcuno anche tra i giornali italiani. I prezzi negativi – orari o addirittura giornalieri – segnati nelle borse elettriche non porteranno le bollette dei cittadini europei sotto zero, né tutti sono sicuri che siano di per sé una buona notizia senza contraccolpi.

 

I prezzi negativi all’ingrosso non sono una novità in Europa, ma di certo avvengono sempre più di frequente. Già prima dei record di questi primi mesi del 2024, Acer – l’agenzia europea che riunisce tutti i 27 regolatori nazionali dell’energia – aveva segnalato che durante l’anno scorso i prezzi negativi erano letteralmente esplosi, aumentando di oltre 12 volte rispetto a quanto avvenuto nel 2022. Le ragioni, spiega Acer, sono due: l’accelerazione nella penetrazione delle nuove rinnovabili, che godono di bassissimi costi variabili (sole e vento sono gratuiti), e la sempre maggiore integrazione dei mercati nazionali attraverso nuove linee ad alta tensione che attraversano i confini e trasportano l’energia da dove è prodotta in eccesso verso dove vi è maggiore domanda da soddisfare. Ma ovviamente queste tariffe sotto lo zero riguardano il solo mercato spot: quello cioè che viene utilizzato per vendere e acquistare l’elettricità che verrà consumata il giorno dopo, e che – primo – risulta marginale rispetto ai contratti di lungo periodo che firmano produttori e venditori di elettricità (anche la maggior parte dei consumatori finali preferisce bollette a prezzo fisso) e – secondo – ha più che altro lo scopo di stabilire tramite asta il “diritto alla produzione”, cioè quali impianti saranno impiegati per coprire la domanda. Ecco perché le centrali arrivano a offrire anche prezzi orari negativi: non sarà infatti nella maggior parte dei casi quella la tariffa che entrerà nelle loro tasche.

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Ma c’è un problema ben più grave di non comprendere il funzionamento del mercato elettrico. Chi esulta illudendosi che le rinnovabili porteranno elettricità gratis per tutti ignora il più allarmante ostacolo alla diffusione di solare ed eolico: i bassi ritorni economici. Chi sarebbe disposto a investire nelle rinnovabili se i prezzi fossero davvero sotto lo zero? Per fortuna, come spiegato, così non è per ora. Ma la riduzione media dei prezzi in atto può condurre a seri problemi. La transizione energetica non sarà fermata infatti dai lobbisti delle fonti fossili, né dai negazionisti climatici. A rischiare di porre un freno allo sviluppo delle fonti rinnovabili è paradossalmente il loro stesso successo. Installare decine di gigawatt all’anno di impianti solari ed eolici sta provocando la discesa repentina dei prezzi dell’energia, sempre meno legata ai costosi e meno efficienti gas e carbone. E per mantenere sostenibili gli impianti e fare in modo che ci sia qualcuno disposto a investirci, gli stati dovranno continuare a sussidiare l’energia pulita, con costi che ricadono inevitabilmente sui consumatori negli oneri di sistema. Già oggi i ritorni economici delle rinnovabili si fermano tra il 5 e l’8 per cento, rispetto a più del 15 offerto dagli investimenti sui combustibili fossili, come scrive Brett Christophers nel suo saggio “The price is wrong”.

La dimostrazione sono le aste italiane per assegnare contratti di fornitura a lunga durata a prezzi fissi e predeterminati per chi costruisce nuovi impianti rinnovabili: sono andate quasi tutte deserte, per via – così dicono le aziende – di tariffe troppo basse offerte dal Gse, un’azienda controllata dal ministero dell’Economia. Il sogno di una transizione energetica capace ormai di camminare sulle proprie gambe e a guida privata sembra essersi infranto, e il fallimento di mercato va risolto con l’intervento pubblico. In attesa che l’innovazione dei sistemi elettrici ci permetta di immagazzinare l’energia elettrica e di programmarne il consumo quando le tariffe sono più economiche.

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