mossa in vista

La Ferrari vuole tornare in Italia

Stefano Cingolani

La società del cavallino rampante ha la sede legale in Olanda, ma ora il ritorno è possibile. Se questo ripensamento diventasse realtà sarebbe letto come un gesto di appeasement che Giorgia Meloni non potrebbe non cogliere

La camera di commercio italiana ad Amsterdam ha l’elenco preciso di tutte le società che hanno trasferito in Olanda la loro sede legale. Ed è davvero impressionante. Imprese pubbliche (Eni, Enel) e private di ogni settore (da Armani a Ferrero e Barilla, da Mediaset a Cementir, da Ferrari a Brembo, da Benetton a Campari). La Fiat ha aperto le danze ed è stato un crescendo: negli ultimi dieci anni hanno preso il volo ben 13 grandi aziende quotate che rappresentano una gran quota della capitalizzazione di borsa. L’attrattiva olandese è variegata, dal fisco ai dividendi, ma la principale riguarda soprattutto il voto maggiorato che consente di difendere la proprietà da incursioni ostili. Con il nuovo disegno di legge capitali anche in Italia sarà possibile potenziare il voto fino a dieci volte, esattamente come avviene nei Paesi Bassi. Uno degli obiettivi è frenare l’emorragia, ma i più ottimisti sperano anche che qualcuno ci ripensi. Parlando con il Foglio Patrizia Grieco, presidente dell’Assonime ha detto di conoscere diverse società che stanno esaminando la possibilità di rientrare, ma non ha voluto fare nomi. Così ha solleticato la curiosità giornalistica. 

 

A forza di cercare e chiedere qualcosa sta uscendo. In realtà sarebbe qualcosa di clamoroso. Tra chi ci sta facendo più di un pensierino, infatti, ci sarebbe anche la Ferrari, tra le prime a “emigrare”. La società del cavallino rampante che nel 1969 era entrata nel gruppo Fiat, una volta scorporata e quotata in borsa da Sergio Marchionne, nel 2013 è stata inglobata in una società di diritto olandese divenuta due anni dopo Ferrari N.V. E li è rimasta. E’ arrivata la Chrysler, è arrivata la fusione con la Peugeot e Ferrari è diventata il gioiello di John Elkann che la presiede e del gruppo Exor che la controlla con il 34,5% dei diritti di voto (secondo azionista è Piero Ferrari con il 15,4%): si pensi che da sola fa il 33% degli attivi complessivi della holding.

 

E’ quotata alla borsa di Milano e a quella di Wall Street, ma la sede fiscale è rimasta a Maranello. Dunque non è andata in Olanda per pagare meno tasse, ma per impedire scalate ostili. Tra Exor e Piero Ferrari detengono il 49% del capitale votante e la Ferrari capitalizza ben 59 miliardi di euro: non è facile scalarla nemmeno per il più arduo alpinista della finanza. Ma proprio il valore quasi pari a quello dell’intero gruppo Stellantis, rende più importante per i suoi azionisti garantirsene la presa. Una volta approvato il ddl capitali, la Ferrari potrebbe essere al sicuro anche in Italia. 

 

L’amministratore delegato Benedetto Vigna nel novembre scorso, quando il ddl era stato approvato al Senato, ha dichiarato che non stava pianificando nessun ritorno della sede legale, ma sono passati alcuni mesi, ci sono stati ritocchi al testo e soprattutto è salito lo scontro del governo Meloni con John Elkann. E’ sotto tiro Stellantis al quale si chiede di potenziare ed espandere la sua presenza in Italia dove è il primo gruppo industriale privato e uno dei principali in assoluto. E’ sotto tiro il gruppo editoriale Gedi (la Repubblica, la Stampa, Il Secolo XIX) che fa capo a Exor, punta di diamante di una battaglia a tutto campo con il governo. Se davvero questo ripensamento diventasse realtà sarebbe letto come un gesto di buona volontà se non di vero e proprio appeasement che Giorgia Meloni non potrebbe non cogliere. Intanto perché la presidente del consiglio accoppia come suo solito bastone e carota, polemica aperta e ricerca di consenso dietro le quinte.

 

E proprio la politica economica ed industriale è il terreno più scabroso nel quale ha bisogno di molti sostegni. Sono in gioco gli incentivi all’intera filiera dell’auto, mentre le scelte sul mercato dei capitali sono state attaccate apertamente da un vasto fronte della finanza del nord: Unicredit, Generali, Mediobanca, Assogestioni, esponenti di fondi d’investimento, nella conferenza organizzata venerdì scorso a Milano, hanno espresso in modo netto le loro critiche sia all’articolo 12 che riguarda il rapporto tra consiglio di amministrazione e azionisti, sia l’articolo 14 sul voto super-maggiorato. Un eventuale ritorno della Ferrari metterebbe in difficoltà il fronte del no, ma sarebbe un esempio importante per un’Italia che ha bisogno di capitali e di grandi imprese.

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