L'analisi

Il momento della verità per l'Italia sulle regole fiscali

Veronica Guerrieri e Guido Lorenzoni

Il governo pare distratto sulla riforma del Patto di stabilità, dovrebbe sostenere la proposta spagnola

La presidenza spagnola del Consiglio europeo sta lavorando per trovare un punto di accordo sulla riforma del patto di stabilità. Fino a poche settimane fa, il dibattito era a un punto di stallo. La Germania insisteva per avere delle salvaguardie più stringenti sulla riduzione del debito pubblico, cioè dei vincoli che imponessero una riduzione annuale del rapporto debito-pil. La proposta della Commissione, uscita a novembre 2022, invece, si basava su proiezioni di medio periodo e consentiva un certo grado di flessibilità nella accumulazione di debito nel breve periodo. 

Per capire la differenza tra le due posizioni, immaginiamo un paese in recessione: le entrate fiscali del governo sono basse, ma si può prevedere che risaliranno. La raccomandazione migliore di politica economica in tale situazione è di consentire al governo di fare spesa in deficit. La proposta della Commissione lo permetterebbe, chiedendo al governo di seguire un percorso di spesa pubblica che porti a una riduzione del debito nel medio periodo, e consentendo un periodo di aggiustamento di alcuni anni. Se invece le regole impongono che il rapporto debito-pil debba scendere ogni anno ci troviamo davanti a un’alternativa difficile: o le regole vengono sospese temporaneamente, o si richiede al paese una contrazione fiscale nel momento meno opportuno.

La prima soluzione è rischiosa. Come abbiamo visto negli ultimi anni in una situazione di sospensione delle regole è facile che i governi nazionali perdano completamente di vista il fatto che c’è un vincolo di bilancio che prima o poi si farà sentire e il rischio di eccessi nella spesa è elevato. La seconda soluzione – austerità in un periodo di recessione – è molto costosa per i cittadini.

Uno può rispondere: ma se ai paesi diamo sempre flessibilità, non c’è il rischio che i governi nazionali ne approfittino e che il rapporto debito-pil non scenda mai? La proposta della Commissione è chiara su questo: il paese deve seguire un percorso di spesa compatibile con la riduzione del debito nel medio periodo, questo percorso di spesa è un impegno preciso per il paese, monitorato severamente dalle istituzioni europee. E le proiezioni di bilancio di medio periodo debbono essere consistenti con previsioni realistiche sulle entrate fiscali future. 

Ci sono tante cose in economia difficili da prevedere, ma prevedere che un paese crescerà più velocemente del solito dopo una recessione, e meno dopo un’espansione, è abbastanza facile. Per esempio, che dopo la contrazione dovuta al Covid la crescita avrebbe ripreso più velocemente per qualche trimestre era una previsione facile. Sono previsioni soggette a incertezza ovviamente, ma è un’area dove i modelli econometrici danno buoni risultati. Non usare questa conoscenza per affidarsi a una regola rigida di riduzione del debito è chiaramente una rinuncia a portare un po’ di razionalità nelle decisioni pubbliche.

La presidenza spagnola ha appena presentato una proposta per uscire dallo stallo. La proposta lo fa nel miglior modo possibile. Aggiunge un elemento di salvaguardia sulla riduzione del debito, come richiesto dai tedeschi. Ma la salvaguardia consiste nel richiedere che il debito scenda di un certo numero di punti percentuali in media negli anni futuri, con un orizzonte temporale lungo, che può arrivare fino a 17 anni. In effetti, la proposta della Commissione era rimasta vaga e non metteva nessun parametro numerico sulla discesa del debito. Un vincolo quantitativo sulla discesa media del debito può essere una garanzia contro un eccesso di discrezionalità. Ma lo è rimanendo fedele ai principi di fondo di basarsi su proiezioni di medio periodo e di distribuire l’aggiustamento nel tempo.

Nel dibattito europeo degli ultimi mesi su questa questione, cruciale per il futuro dell’Unione Europea, si ha purtroppo l’impressione che il governo italiano abbia messo molta poca energia, come ha notato correttamente Valentini su queste pagine. Perché questa mancanza di entusiasmo? Forse ci sono problemi di comunicazione con governi politicamente distanti dal nostro. Forse ci sono fraintendimenti sul fondamentale beneficio per l’Italia di abbandonare le vecchie regole. Ma al di là di questo, viene il sospetto che il motivo sia più banale e sia semplicemente che la riforma delle regole non porta un vantaggio immediato all’Italia nel senso di consentire maggiori deficit di bilancio nel breve periodo.

L’Italia viene da un periodo di crescita veloce post-pandemia, con un numero di occupati che ha continuato a crescere fino agli ultimi mesi, e ha raggiunto un tasso percentuale di occupati rispetto alla popolazione mai visti negli ultimi 20 anni. Plausibilmente, siamo vicini o sopra al livello cosiddetto di pieno impiego. Forse una recessione è vicina, ma lo stato delle cose al momento è questo. E significa che le nuove regole della Commissione non darebbero più spazio ad aumentare la spesa pubblica di quanto lo farebbero le vecchie regole. Le simulazioni disponibili che confrontano i due regimi mostrano qualche zero virgola di deficit in più seguendo le nuove regole, ma poca roba. Questo è ragionevole: se un paese è al pieno impiego, è il momento buono di contenere il deficit e ridurre il debito, come hanno scritto Ascari, Corsetti e Trezzi su queste pagine. Questo però vuol dire anche che il governo non vede benefici di breve periodo nel battersi per le nuove regole.

È il momento che il governo italiano superi queste esitazioni e sostenga con convinzione la riforma delle regole fiscali e la proposta di accordo che viene dalla Spagna. Non guardando a benefici in termini di spazio fiscale di breve periodo (che poi benefici non sono), ma guardando al futuro del paese e dell’unione. Tanto più che la proposta spagnola contiene anche una clausola che chiaramente risponde a richieste del nostro ministro: la possibilità di escludere dai tetti di spesa parte delle spese aggiuntive incorse dal paese per progetti europei (incluso il Pnrr).  

È un’occasione per mostrare che il nostro paese non pensa solo a come trovare qualche miliardo in più da spendere per la prossima finanziaria, ma che su questioni fondamentali sa avere un orizzonte di lungo periodo. In questi giorni i mercati finanziari sono preoccupati dalla nostra capacità di pensare al futuro. Un segnale positivo aiuterebbe.

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