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Il girotondo

Il futuro è un’impresa. Le domande al governo per una “Choose Italy” stile Macron

Annalisa Chirico

Semplificazioni, fisco meno oppressivo, giustizia rapida. Ecco cosa chiederebbero gli imprenditori alla maggioranza per una grande conferenza a Roma sul modello francese

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E se fosse “Choose Italy?”. L’idea di una grande conferenza, con il premier Meloni al centro del salone, circondata da centinaia di imprenditori, per dare una spinta al pil dell’Italia, fa capolino nelle stanze di Palazzo Chigi. Non è una boutade: un governo determinato ad attrarre investitori deve saper “vendere” il proprio paese. Esaltarne i punti di forza, e rassicurare su ciò che ancora non funziona. Il format, com’è noto, lo ha inaugurato il presidente Macron a Versailles, e alcuni imprenditori italiani vi hanno preso parte. Tra questi, c’è Riccardo Illy che per ben due volte ha partecipato al “Choose France”. “Mi sento particolarmente legato alla Francia, un paese che conosco molto bene, dove ho lavorato e investito – dice al Foglio Illy, presidente del Polo del Gusto, la sub-holding del Gruppo Illy, nonché console onorario della République a Trieste – Ho avuto modo di confrontarmi spesso non solo con il mondo economico transalpino ma anche con le sue istituzioni, le amministrazioni locali, i tribunali civili. La mia esperienza diretta è legata anche alla gestione di un’azienda, Dammann Frères, che dal 2007 fa parte del gruppo Illy. In questi anni ho sempre avuto modo di apprezzare la velocità e l’equità con cui in Francia la pubblica amministrazione e la giustizia operano nei confronti delle imprese”.

 

Se il premier Meloni convocasse gli imprenditori per ascoltare proposte e suggerimenti su come far crescere il pil italiano, lei da dove partirebbe? “In primo luogo, inviterei ad affrontare uno dei maggiori problemi del sistema Italia: le buste paga inferiori alla media europea. Gli oneri previdenziali italiani sono, insieme a quelli francesi, tra i più alti al mondo. Mi sembra che le riduzioni generiche sulle imposte non portino a passi avanti significativi per aumentare il netto in busta paga. Vi è poi l’eccesso di norme che penalizza l’Italia, c’è un divario impressionante tra il numero di norme presenti in Italia rispetto ad altri paesi. Secondo una stima del Sole 24 ore, in Italia sarebbero vigenti 110 mila leggi a fronte delle settemila in Francia o delle cinquemila in Germania”.

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Lei confida in una riforma della burocrazia volta a ridurre i tempi per ottenere permessi e autorizzazioni? “Per quanto riguarda la parte giustizia, è già stata approvata una riforma di cui attendiamo di osservare le ricadute concrete; restiamo in attesa di vedere ridotti i tempi della giustizia, soprattutto di quella civile, per renderla paragonabile a quella francese che è ottimale. Dalla mia esperienza in Francia, posso ricordare come durante il trasloco della sede di Dammann Frères siano nate alcune controversie con dei dipendenti che contestavano il cambio di sede: la vicenda si è risolta nel giro di due anni, e direi in maniera accettabile per le parti. In Italia, la risoluzione non sarebbe mai avvenuta in tempi analoghi. Il terzo punto, che un confronto tra governo e imprenditori non dovrebbe eludere, riguarda i rapporti con il fisco. In Italia, la maggior parte degli imprenditori, me incluso, si sente vessata dal fisco. Anche in questo caso, è la mia esperienza diretta che rileva differenze e distorsioni. Da quando siamo in Francia, con Dammann, in sedici anni non abbiamo mai avuto un problema con il fisco; con Domori invece – azienda che fa sempre parte del gruppo Illy, più o meno dallo stesso periodo e con un volume di affari inferiore a quello di Dammann – siamo impegnati a gestire un accertamento fiscale a dir poco fantasioso, che ci ha portato a contestarlo: l’Agenzia delle entrate, che ha già perso in primo e secondo grado, con addebito delle spese legali, oggi ricorre in Cassazione. In Italia le aziende sono comunque obbligate a pagare una parte degli importi contestati a procedimento ancora in corso e lo stato si riserva di effettuare, in caso di vittoria, un rimborso parziale e con tempi comodi. Sono procedimenti annosi, che impegnano risorse ingenti, in grado di bloccare l’attività per lungo tempo; inoltre, sono procedimenti che si basano sempre sugli stessi meccanismi: la motivazione che oggi ci viene contestata con Domori è la stessa che ho affrontato in Illycaffè nel 1989: anche in quel caso l’Azienda vinse contro il procedimento, la cui fase di accertamento durò un anno e mezzo”. Insomma, il fisco fa paura a chi investe in Italia. “Penalizza il paese, questo è certo. A parte i proclami tipici di ogni inizio legislatura, in concreto non è stato fatto nulla. Tutti e tre i punti – retribuzioni e costo del lavoro, burocrazia e fisco – sono aspetti chiave che incidono non solo sulla capacità di attrarre investitori nel nostro paese ma anche di saperli trattenere; essi rappresentano una visione di sviluppo economico basata su un patto di fiducia tra mondo economico e mondo delle istituzioni che oggi è completamente da rifondare, in particolare con la giustizia e le amministrazioni”.

 

Su impresa e politica Oscar Farinetti potrebbe scrivere un’enciclopedia. Intanto, fantasticando su un “Choose Italy” in salsa patriottica, il fondatore di Eataly parte da una premessa: “Una nazione ha la missione di concentrarsi sulle proprie vocazioni naturali, attraverso le proprie categorie migliori, accompagnata da una focalizzazione sui problemi impellenti. L’Italia ha una chiara vocazione naturale: vendere meraviglie al mondo. Le nostre categorie migliori sono: lavoratori, professionisti, imprenditori. Problemi impellenti: emergenza ambientale e discriminazioni sociali. Io, se dovessi avanzare delle proposte al governo in carica, partirei dall’istituzione di uno stipendio minimo garantito di 1.500 euro netti anche al primo impiego, sia a tempo indeterminato che determinato. L’impresa sostiene questa cifra fino a 1.200 euro netti, il resto lo mette lo stato attraverso una riduzione del cuneo fiscale in modo definitivo. Le tasse alle imprese rimangono invariate fino ai profitti dell’anno precedente. Sugli incrementi introdurrei uno sgravio del 50 per cento che sale all’80 per cento sulla percentuale dei ricavi da vendite all’estero (produzione, commercio e attività professionali) o da accoglienza di cittadini stranieri (hotel, ristoranti, agenzie turistiche). Ma a patto che l’azienda non distribuisca gli utili, lasciandoli dentro l’impresa per favorire lo sviluppo, e che rispetti il piano di conversione alla sostenibilità sottoscritto nel frattempo (ogni azienda lo concorda con l’agenzia delle entrate di riferimento)”. Farinetti, lei ha studiato il programma fin nei dettagli… “E’ chiaro dove voglio andare a parare: offriamo lavoro retribuito decentemente. Posti di lavoro ce ne sono. Chi non vuole lavorare a queste cifre, potendolo fare, non percepisce alcun reddito. Incentiviamo le aziende a crescere ma nella giusta direzione: mercato estero, sostenibilità e investimenti”.

 

E il debito pubblico? “I soldi potrebbero trovarsi altrove. Per esempio, eliminando un po’ di sprechi pubblici. Se fossi nel governo mi metterei lì a cercarli: ve ne sono e molti. Fisserei un tetto massimo alle pensioni a cinquemila euro netti, abolendo anche le pluri-pensioni. La pensione serve per continuare a vivere decentemente, non per arricchirsi. E’ giusto che le aziende agricole continuino a non pagare le tasse. Ma oltre un certo tetto di utili (100 mila?) dovrebbero pagarle come qualsiasi altra azienda. Fate una ricerca e troverete un sacco di soldi. Poi andrebbe introdotta una tassa sulla successione almeno dal 10 al 25 per cento a seconda del valore ereditato (meno della media mondiale). Trovo davvero contraddittorio parlare di meritocrazia e poi non farla pagare”. Lei non ha ancora citato l’evasione fiscale. “Se ne parla da decenni. Credo sia giunto il momento di fare qualcosa di netto: sputtanare gli evasori. Occorre far diventare figo pagare le tasse e portare all’onta pubblica chi non lo fa. Elenco degli evasori accertati sui tg regionali e sui quotidiani, più campagna mediatica, molto forte, che annuncia questo processo: ‘from duty to beauty’. E poi ci sono la scuola e la sanità”. Vaste programme. “Chiudo con una raccomandazione: smettiamola di fare gli sciovinisti, ci rendiamo antipatici al resto del mondo. Invece noi abbiamo bisogno di essere simpatici perché dobbiamo vendere al mondo un sacco di roba, visto che abbiamo avuto la fortuna di nascere in una nazione dove ci sono e si producono meraviglie. Basta con lo stupido orgoglio, dobbiamo essere riconoscenti più che orgogliosi”.

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Per Paolo Scudieri, presidente e ad del gruppo Adler, leader nella componentistica auto con headquarter in Campania, il cambio di passo con il governo Meloni è tangibile, prova ne sia “la costituzione di un fondo sovrano per il Made in Italy: un fatto concreto e innovativo che dimostra l’attenzione del governo verso l’industria italiana. Dobbiamo raccontare al mondo la nostra storia. La creatività italiana è stata leggenda nel passato e deve continuare ad essere protagonista nel futuro. E’ possibile creare un hub strategico che veda la nazione e il sud attori di un rilancio manifatturiero ed energetico. La prossimità geografica con il continente africano può essere, da questo punto di vista, un fattore positivo per creare sinergie impreviste. Le zone speciali stanno funzionando ma se riuscissimo ad allargare queste misure anche alla forza lavoro potremmo trasformare il sud nella locomotiva d’Italia. Dobbiamo con forza e orgoglio raccontare al mondo i buoni risultati dell’economia italiana che, come ha annunciato la Commissione europea, quest’anno crescerà più di Francia e Germania, e questo è un segnale importante per mercati e investitori stranieri. Il presidente Meloni si muove in questa direzione, e indubbiamente sa raccontare la performance positiva del paese come pochi altri. Il racconto che un paese fa di sé è uno strumento di soft power da non trascurare. Dopo anni di cattive notizie che hanno danneggiato l’immagine dell’Italia, bisogna invertire la rotta. Quanto alle riforme che attendono, la giustizia resta un tasto dolente, con i suoi tempi pachidermici. Essa dovrebbe essere l’ultimo tassello di una burocrazia snella capace di aiutare chi fa impresa”.

 

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Per il presidente di Coldiretti Ettore Prandini, una grande reunion, stile Versailles ma chissà in quale reggia italiana, dovrebbe richiamare l’attenzione sul rischio di dissesto idrogeologico che attraversa grossa parte del territorio nazionale e, nei giorni dell’alluvione che ha colpito l’Emilia romagna, assume una centralità assoluta: “I tragici eventi cui assistiamo confermano la necessità di interventi immediati, noi di Coldiretti lo ripetiamo da anni, inascoltati: bisogna fermare il consumo sfrenato del suolo che sfregia i nostri territori e penalizza l’agricoltura. Le conseguenze del cambiamento climatico si manifestano con gli eventi estremi sempre più frequenti, con il passaggio repentino e improvviso dalla siccità più nera a un’alluvione devastante. Da tempo è pronto il piano Coldiretti-Anbi per la realizzazione di bacini di accumulo in grado di trattenere e regimentare l’acqua piovana per distribuirla secondo l’occorrenza. Per fermare la cementificazione, che è tra le cause del dissesto idrogeologico, è pronta da oltre dieci anni una legge contro il consumo di suolo che giace in Parlamento. Per Coldiretti, oggi più che mai, le priorità su cui vogliamo sensibilizzare il governo riguardano le infrastrutture, da quelle idriche ai porti fino alla logistica dei trasporti. Le risorse del Pnrr si impieghino per realizzare questi obiettivi. Si tratta di misure indispensabili per sostenere il settore agroalimentare che è già la prima ricchezza del paese e potrebbe crescere ancora con una incisiva politica di internazionalizzazione”.

 

Alessandro Banzato, presidente e ad di Acciaierie venete, già alla guida di Federacciai, ha le idee chiare sulle proposte da evidenziare al governo in occasione di un “Choose Italy”: “La prima richiesta sarebbe a costo zero. La stratificazione normativa che esiste in Italia su molte materie si traduce spesso in una confusione interpretativa che varia secondo le aree geografiche. Per fare la stessa cosa in tre stabilimenti che non sono nella stessa regione abbiamo sperimentato tre procedure amministrative diverse che vanno dalla notifica semplice, con conseguente e immediata presa d’atto, all’apertura di un procedimento autorizzativo che può durare dai sei mesi a un anno. Questo è un problema non solo di semplificazione e sburocratizzazione, ma anche di asimmetria competitiva. Se per apportare una miglioria ai miei processi io impiego dodici mesi mentre un mio concorrente che lavora in un’altra regione risolve in dodici giorni, si pone infatti anche una questione di regole della concorrenza. Poi, in secondo luogo, come imprenditore siderurgico, e quindi come grande energivoro, non potrei esimermi dall’intervenire sul tema dei costi delle energie. Il governo Meloni ha dato continuità al credito di imposta su gas ed energia elettrica, e questo è stato un fatto importante e molto apprezzato. Ma visto che le incertezze sono destinate a durare, sarebbe necessario che il governo riuscisse a fare quello che i precedenti non hanno portato a compimento, ovvero misure strutturali. In questi giorni la Germania sta discutendo un provvedimento che fino al 2030 garantirebbe un tetto di sessanta euro al MWH per l’80 per cento dei consumi elettrici degli energivori. In Italia stiamo viaggiando sui 120/130 euro al MWH. Se questa misura dovesse andare in porto, ci troveremmo a subire l’ennesima asimmetria competitiva, visto che le aziende siderurgiche tedesche sono tra i nostri principali concorrenti europei. Infine, come imprenditore ma anche come cittadino, chiederei di trovare il modo di far arrivare più soldi a chi lavora. Cuneo fiscale, detassazione degli aumenti retributivi e/o altre soluzioni che possano portare a questo risultato. Come imprenditori siamo disposti a fare la nostra parte; interveniamo talvolta anche autonomamente, ovvero senza vertenze sindacali, ma non è possibile che gran parte di quello che viene versato sia assorbito da tasse e oneri vari. Soprattutto con un’inflazione galoppante che sulla spesa alimentare supera i dieci punti percentuali. E’ una tassa occulta che i nostri lavoratori subiscono come ogni altro”.

 

Antonio Rallo, patron di Donnafugata, azienda con cantine e vigneti nella Trinacria occidentale, e presidente del Consorzio Doc Sicilia, tocca un altro tasto dolente dello Stivale: “Volendo guardare al futuro, nel medio e lungo periodo, da imprenditore penso che l’Italia abbia bisogno di investire nell’istruzione, nella ricerca e nella formazione professionale: dalla scuola dell’infanzia ai corsi di studio universitari, dalla ricerca applicata al sistema della formazione continua. Se ci fosse un confronto stile ‘Choose Italy’, io richiamerei l’attenzione sulla formazione e sulle competenze. Da imprenditore del sud, poi, ritengo che il divario socioeconomico, ancora forte tra le regioni meridionali e quelle settentrionali, dovrebbe essere una priorità per il governo. Il sud continua a scontare un deficit di servizi e infrastrutture che determina diseguaglianze intollerabili, a danno soprattutto di giovani e donne. C’è poi un tema ineludibile: l’ambiente. La transizione ecologica è un imperativo dettato dalla necessità di ridurre l’impiego delle risorse naturali non rinnovabili e di contrastare il cambiamento climatico. Preservare l’ambiente è un dovere verso le future generazioni. Dobbiamo modernizzare la macchina dello stato e delle regioni per dare risposte certe ed efficienti a imprese e famiglie. L’efficienza della pa rimane uno degli strumenti più importanti per l’affermazione della legalità e, più in generale, dei valori democratici in cui la comunità nazionale deve pienamente riconoscersi”.

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