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l'intervento

Per Tremonti il Mes ora va ratificato. Ma insiste sull'emissione di Eurobond

Francesco Bercic

Secondo l'ex ministro dell'Economia "non ci sono alternative al voto italiano sul fondo salva stati". E rilancia l'idea delle obbligazioni comuni nell'Area Euro, di cui il Pnrr riprenderebbe la sostanza

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Giulio Tremonti, attuale presidente della commissione Affari esteri ed europei della Camera, ha rilasciato una lunga intervista al Sole 24 ore con la quale ha preso posizione nel dibattito in corso nella maggioranza attorno alla ratifica del Mes (lo strumento ideato nel 2012 con lo scopo di aiutare i paesi in difficoltà economica). Tremonti inizia con un'ardita metafora: “Il Mes è in un certo senso come un’automobile. Un’automobile è utile e positiva se viene utilizzata per andare al lavoro, lo diventa meno se è usata per fare una rapina”. Poco dopo si spiega. Per Tremonti c'è l'esigenza di una “vera riflessone” in Europa, con cui capire “come impiegare il Mes nella costruzione di nuovi efficaci meccanismi europei, collegandolo con l’emissione di Eurobond”. In generale, rimane in sintonia con la premier sui prossimi passi da compiere: “Giorgia Meloni ha detto in sostanza che non vede alternative al voto italiano sul Mes, e che però intende ridiscuterne la funzione. Sono totalmente d’accordo con lei”. Il Mes va dunque ratificato, ma bisogna correggerlo.

 

Il “vizio principale” che il Mes così com'è porterebbe avanti è l'assenza di una prospettiva emergenziale: “Nel Trattato non c’è la parola 'crisi', che compare solo in alcuni paragrafi periferici e marginali”. Lo strumento sarebbe stato ideato “in una logica positiva e progressiva, nella totale assenza del principio di precauzione”. Andrebbe quindi rivisto, recuperando il significato originario del fondo: una “piattaforma per emettere Eurobond in aiuto ai singoli Stati”. Qui Tremonti si richiama a un suo articolo apparso sul Financial Times nel 2010, scritto assieme a Jean Claude Junker. “La prova che questa fosse la strategia è evidente nell’evoluzione del fondo, che nasce incorporato in Lussemburgo come una società qualsiasi e poi assume via via una configurazione politica”, ha aggiunto, rammaricandosi per il cambiamento incorso. Una versione che ricorda molto quella che Tremonti aveva consegnato con una lettera al nostro giornale, nell'aprile 2020. Quando ricordavamo che era stato lo stesso allora ministro dell'Economia a sottoscrivere per l'Italia il Meccanismo europeo di stabilità.

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L'idea originaria si sarebbe inficiata col sopraggiungere di una nuova linea, emersa in concomitanza con la crisi greca. Per Tremonti, in quel frangente si era creato un vero e proprio clima di “isteria”. Il tema era l'utilizzo del Mes per il salvataggio delle banche, oltre che degli Stati. “La mia risposta fu positiva a condizione che la contribuzione fosse commisurata non al capitale come per la Bce ma al rischio effettivo”, racconta Tremonti. Il punto su cui non si poteva transigere era il legame con gli Eurobond. Invece, prima il governo Monti e poi la modifica dello Statuto andarono nella direzione contraria. Assumendo quei connotati che Tremonti chiama “Trojka style” e abbandonando la politica dei bond Ue.

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I salvataggi bancari adottati finora con la riforma rimangono per Tremonti “molto leggeri”. La causa sarebbe strettamente politica: un “deficit enorme” di leadership che ha portato “da un austerismo fanatico e millimetrico all’eccesso opposto costituito dalla liquidità senza freni”. E qui Tremonti cita addirittura Karl Marx, secondo cui “il tasso zero è la fine del capitalismo”.

La soluzione per Tremonti, in ogni caso, è il Pnrr. “Pur nella sua configurazione di strumento di emergenza, nella sostanza incarna l’idea degli Eurobond”: andrebbe quindi perseguito in un'ottica più ampia di investimenti su energia e ambiente. A una domanda che gli ricorda l'importanza di una rete di alleanze per l'attuazione dei piani, Tremonti ammette che la strada resta ancora “in salita”.

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