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Pechino riapre ma non pare affatto pronta, e gli investitori s’allarmano

Mariarosaria Marchesano

Le Borse asiatiche hanno reagito male di fronte alla decisione delle autorità della Cina di riaprire le frontiere a gennaio. “Nel breve periodo, ritengo che l’economia cinese sia destinata a sperimentare il caos piuttosto che il miglioramento", ha detto il capo analista di Loomis Sayles

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La Cina disorienta gli investitori. Eccetto quella di Hong Kong, ieri le Borse asiatiche hanno reagito male di fronte alla decisione delle autorità di Pechino di riaprire le frontiere a gennaio. La notizia è di per sé positiva ma è stata annunciata mentre il paese è in preda a un’ondata di Covid senza precedenti, con ospedali al collasso. Questo fa presagire che la ripresa economica è ancora lontana nonostante il passo indietro sulle restrizioni normative che nell’ultimo anno e mezzo hanno soffocato interi settori dell’economia. Così c’è chi guarda alla Cina come un potenziale fattore destabilizzante per i mercati globali, forse anche più della guerra russo-ucraina.

 

Alcuni giorni fa, prima che fosse chiara la gravità del quadro sanitario nella Repubblica popolare, alcuni analisti avevano già espresso qualche preoccupazione. Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, il gruppo fondato da Guido Maria Brera, ha detto prima di Natale che la Cina rappresenta l’incognita maggiore per l’avvio del 2023. “Gli investitori globali saranno chiamati a giudicare l’efficacia delle ultime misure introdotte dal governo di Pechino”. Eppure, fino a pochi giorni fa, non si sapeva che nel solo mese di dicembre 250 milioni di persone sono state contagiate dal coronavirus e che nei prossimi mesi si potrebbe superare il milione di morti riproponendo al mondo intero un incubo che sembrava alle spalle. E neanche si sapeva che dopo Apple un altro colosso mondiale come Tesla ha fermato la produzione nella sua fabbrica cinese di Shanghai a causa dell’epidemia. 

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Ora i toni degli osservatori finanziari si sono fatti anche più seri. Bo Zhuang, capo analista di Loomis Sayles, affiliata di Natixis Investment Managers, uno dei più grandi gruppi di investimento del mondo, dice: “Nel breve periodo, ritengo che l’economia cinese sia destinata a sperimentare il caos piuttosto che il miglioramento, per un semplice motivo: la Cina è poco preparata ad affrontare il Covid”. A conforto di questa affermazione, Bo Zhuang spiega che prima dell’abolizione della politica zero Covid, oltre il 90 per cento della popolazione cinese non era stato infettato dal virus. Sebbene i tassi di vaccinazione siano elevati, in termini relativi, gli anziani vaccinati sono inferiori al totale, ci sono pochi posti letto in terapia intensiva rispetto alla popolazione e la Cina si è affidata a un vaccino meno efficace rispetto a quelli usati nel resto del mondo. “Nella fase iniziale, la riapertura potrebbe scatenare un’ondata di casi di Covid, travolgendo il sistema sanitario, frenando i consumi e la produzione”, ipotizza Bo Zhuang. “E’  improbabile che i politici impongano chiusure generalizzate, ma la produzione industriale potrebbe subire interruzioni negli approvvigionamenti. Non mi sorprenderebbe vedere tassi di crescita pari a zero nei prossimi tre mesi del 2023, in calo rispetto all’attuale ritmo di circa il 2 per cento su base annua”.

 

A pesare sul cambio di rotta della politica zero Covid è stata la recente ondata di proteste nel paese, motivata da un elevato tasso di disoccupazione giovanile arrivato al 18 per cento. “Alla fine la Cina avrebbe allentato comunque le restrizioni, ma l’attivismo di studenti e lavoratori ha convinto il governo che i costi economici e politici delle chiusure fossero diventati insostenibili”, dice l’analista. Peccato, però, che le riaperture coincidano con un’altra crisi pandemica. E comunque, le drastiche restrizioni normative in campo economico applicate in nome della “prosperità condivisa” sono destinate a lasciare il segno nonostante  Xi Jinping stia allentando la presa. L’outlook per il 2023 di Schroders avverte: “Per quanto riguarda il settore immobiliare, l’inasprimento preventivo in combinazione con una stretta normativa sulla leva finanziaria degli sviluppatori (debito) ha portato a una crisi di fiducia e a una marcata flessione delle vendite nel 2022. Non è facile rimediare a questa situazione, anche se le autorità stanno fornendo gradualmente un sostegno politico”.

 

Un aspetto controverso, infine, appare l’inflazione. Nell’ultimo anno, mentre la corsa dei prezzi aumentava vertiginosamente negli Stati Uniti e in Europa, la Cina ha agito da contrappeso disinflazionistico. In un contesto di crescita lenta, il paese ha utilizzato meno materie prime e meno energia del normale. In futuro, però, è probabile che la domanda aumenti con la ripresa dell’economia, facendo salire l’inflazione proprio quando si prevede che nel resto del mondo si attenui. E questo solleva un dubbio, come osserva sempre Bo Zhuang: “La domanda cinese sarà abbastanza forte da cambiare le prospettive dell’inflazione globale e influenzare le politiche delle Banche centrali sui tassi? E’ troppo presto per dirlo, ma è un elemento da tenere d’occhio nel 2023”.

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