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Un Codice incompleto

La riforma degli appalti pubblici è un passo avanti ma resta un nodo da sciogliere 

Giacinto della Cananea

È giustificata la soddisfazione del governo dopo l'approvazione del decreto. Ma resta un numero troppo alto di stazioni appaltanti, che troppo spesso hanno dimostrato di non avere la capacità amministativa per gestire la realizzazione delle opere. Qui bisognerà intervenire ancora

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Il Consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare il decreto legislativo di riforma del Codice degli appalti pubblici, predisposto dal Consiglio di stato con la collaborazione di vari esperti. Poiché questa riforma è fondamentale ai fini dello sviluppo civile ed economico dell’Italia, è giustificata la soddisfazione del governo. Ma non bisogna dimenticare che si tratta di un obiettivo intermedio, perché i contratti delle amministrazioni sono strumenti: servono a realizzare opere pubbliche, come le infrastrutture di trasporto necessarie per unire le varie parti dell’Italia e per collegarle con l’Europa, e ad acquisire beni e servizi nell’interesse della collettività.

L’adempimento di questi compiti è stato ostacolato da varie concause, tre in particolare. La prima è la sovrabbondanza di norme. La seconda è il peso dato alle preoccupazioni per la corruzione. Il terzo problema è l’eccessivo numero di stazioni appaltanti, che sovente non hanno la capacità amministrativa indispensabile per gestire bene gli appalti. Vediamo, quindi, come il nuovo codice cerca di risolvere questi problemi. Esso interviene sul primo – l’eccesso di regole – in più modi: da un lato, realizza un’opportuna, pur se obiettivamente complessa, delegificazione; dall’altro, stabilisce una serie di principi generali, alla luce dei quali le altre disposizioni devono essere interpretate e applicate dalle amministrazioni aggiudicatrici. Tra questi princìpi è attribuita importanza alla tempestività, al rapporto tra prezzo e qualità e al conseguimento dei risultati in vista delle quali le amministrazioni sono dotate di risorse finanziarie. Rispetto al secondo problema, ossia il soverchio peso dato alle preoccupazioni per la corruzione, il nuovo codice offre soluzioni adeguate, per esempio non ripetendo l’errore di rendere vincolanti le regole interpretative elaborate dall’Anac, l’Autorità anticorruzione. E’ sul terzo versante, quello del numero eccessivo di stazioni appaltanti, che il nuovo codice fa ben poco, perché il problema non è di quelli che possano essere risolti in sede tecnica. Spetta al governo, e alla maggioranza che lo sostiene, fare accettare agli innumerevoli enti pubblici il necessario cambiamento, cioè unire le forze per gestire gli appalti presto e bene. 
Giacinto della Cananea

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