(Ansa)

l'inchiesta

Pm e bollette: sugli extraprofitti serve trasparenza più che gogna

Stefano Cingolani

La procura di Roma ha aperto un dossier per analizzare il mancato pagamento dell'imposta da parte di alcune aziende energetiche, ma la ricerca degli extraprofitti è complessa

Tanto tuonò che arrivò il fascicolo. La procura di Roma ha aperto un dossier sui guadagni delle imprese energetiche. Si tratta in termini tecnici di un “modello 45”, senza reato e senza indagati, che potrebbe finire in nulla o aprire la porta a una vera e propria inchiesta. I magistrati sono stati spinti ad agire anche in seguito a un esposto di Verdi e Sinistra italiana per “tasse non pagate dai colossi energetici”, che ipotizza i reati di frode ed evasione fiscale. Adesso toccherà alla Guardia di finanza mettere mano a una questione dal forte impatto politico, ma tutt’altro che semplice.

 

Mentre la sinistra rosso-verde se la prende con chi compra e vende all’ingrosso, Giorgia Meloni se l’è presa con le bollette che fanno riferimento alla Arera, l’autorità di regolazione per l’energia e l’ambiente. Anch’essa a sua volta si basa sull’andamento del mercato, ma le tariffe tengono conto delle imposte e dei costi accessori ridotti dal governo. Dunque tra “grandi colossi” (l’Eni in particolare è nel mirino di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni), autorità e governo, tutti gabbati e tutti colpevoli?

  

Non c’è dubbio che la trasparenza sarebbe d’aiuto ai più, mentre l’opacità aiuta solo i pochi. Mario Draghi è a dir poco irritato perché finora è fallita la tassazione che doveva portare, a cominciare da agosto, circa 10 miliardi di euro nelle casse dello stato. Le aziende non ne hanno pagati nemmeno due, e anche loro l’hanno buttata in caciara, pardon in tribunale. Mentre il Codacons s’è rivolto alla Corte dei Conti. Al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, Draghi ha attaccato le aziende che “hanno registrato utili senza precedenti solo a causa dell’aumento dei prezzi dei combustibili fossili, un aumento che, allo stesso tempo, penalizza la maggioranza di cittadini e le imprese”.

 

Diverse imprese hanno ritenuto “incostituzionale” la misura, perché l’imposta si applica sul saldo delle operazioni Iva e non sui profitti effettivi, i quali potranno essere verificati solo quando i bilanci societari saranno approvati. Non solo, il rialzo del prezzo dell’energia fa già lievitare l’Iva, quindi si pagherebbe due volte. Puntano i piedi gruppi petroliferi come Kuwait Petroleum (Q8), Ip, Esso e Engycalor che fanno capo a ExxonMobil. Dall’elenco mancano i colossi di stato Eni ed Enel. C’è però Acea Energia Spa, la municipalizzata di Roma, e anche Engie Italia Spa, multinazionale francese di luce e gas.

 

Il Tar dovrà decidere che fare e la data stabilita è l’8 novembre. Si fa strada la possibilità di trasformare la tassa sugli extraprofitti in addizionale Irap (l’odiatissima imposta regionale sulle attività produttive). E dalla padella si cade nella brace. Da Washington a Londra e Berlino i governi cercano di afferrare l’inafferrabile: gli utili in eccesso delle aziende energetiche. Quelle che commerciano in idrocarburi fanno il prezzo non sui costi di produzione, ma sui future contrattati sui mercati spot Rotterdam per il petrolio e Amsterdam per il gas. Quelle elettriche hanno realizzato dei bei guadagni perché il prezzo è basato su quello del gas, mentre le energie rinnovabili, dalle quali proviene in media circa un terzo dell’elettricità, hanno costi molto bassi. Una questione di giustizia sociale come quella sollevata da Draghi s’intreccia con una chiara inefficienza nella formazione del prezzo tanto che si sta discutendo in Italia e in Europa su come disancorare la luce dal gas. 

 

Nel gran calderone ribolle l’accusa rivolta dalla Meloni alla Germania perché paga il gas russo meno dell’Italia e quella di Fratoianni all’Eni perché acquista in base a contratti pluriennali con prezzi fissi e bassi, poi rivende a prezzi di mercato. Anche qui la confusione è sovrana. Per esempio, alcuni contratti che gli importatori europei hanno stipulato con Gazprom applicano una formula legata all’indice mensile, usato per stabilire il prezzo del gas con un mese di anticipo rispetto alla consegna. La pluralità degli accordi rende difficile applicare un tetto uguale per tutti, tanto più che i prezzi scendono a mano a mano che i russi perdono terreno.

 

C’è una scelta squisitamente politica, una valutazione morale che condanna i profitti di guerra, una dimensione tecnica e un impatto economico, come conciliare queste variabili? L’Economist s’è fatto più verde dei Verdi e ha sollevato un’obiezione: l’alto prezzo del gas favorisce la transizione energetica, meglio compensare famiglie e imprese con sussidi temporanei. Già ma chi li paga: la fiscalità generale, l’extra debito o gli extra profitti? Siccome la risposta non c’è prima del 25 settembre (e probabilmente neanche dopo), “alla gogna, alla gogna”.

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